Alla fine degli anni ’60 Aldo Gorfer, giornalista e scrittore trentino, si dedica all’esplorazione sistematica dell’universo di serie B che va sotto il nome di “montagna trentina”. Accompagnato dall’immancabile Flavio Faganello, Aldo Gorfer visita, anche se dal mio punto di vista sarebbe meglio dire esplora viste le difficoltà che spesso ha dovuto affrontare per raggiungere alcune località, alcune tra le vallate meno blasonate del Trentino in un momento storico di particolare importanza.
Lo spopolamento della montagna è in atto già da diverso tempo ed in quella costellazione di piccoli masi e piccoli paesi nei quali la “modernità” è ancora lontana da venire, si assiste inermi ad una moria lenta e deprimente prima delle persone, poi delle tradizioni per finire alle abitazioni. Il territorio reclama se stesso.
Ne “Solo il vento bussa alla porta”, sono raccolti gli articoli scritti all’epoca da Aldo Gorfer per un’inchiesta giornalistica dal titolo “villaggi trentini che stanno morendo”. Potremmo quasi definirlo un diario nel quale ogni capitolo è rappresentato da un paese o da una località. Un racconto schietto, duro a volte con qualche licenza poetica, ma sempre attinente al vero, al reale. Aldo Gorfer da buon ottimista quel era, non si lancia in accuse o in previsioni catastrofiche, ma analizza con logica una situazione che all’epoca non lasciava scampo ad una generazione ormai in decadenza ed in forte contrasto con una modernità che a passi da gigante bussava alle porte delle città e delle località turistiche.
Il libro che in questa edizione uscita nel 2003 contiene nel suo epilogo un riassunto dello stesso Gorfer, una sorta di eredità, scritta una decina di anni dopo la sua indagine giornalista e che sintetizza ed anticipa in buona parte quello che oggi stiamo vivendo.
Voglio riportare alcuni stralci presi proprio dall’epilogo scritto nel 1981 dallo stesso Gorfer:
“A distanza di 12 anni dal primo viaggio attraverso i “villaggi trentini che stanno morendo”, tale era il titolo dell’inchiesta giornalistica, ho ripercorso l’itinerario a impressioni e a sensazioni sedimentate. La speranza di ritrovare un Trentino minore meno sofferente e più ottimista è risultata vana. I paesaggi selvaggi e i paesaggi umanizzati della montagna sono insidiati da vicino se non sono già stati aggrediti dal degradamento o dalla colonizzazione. Avremo forse l’ambiente che ci meritiamo.”
“Dal 1968 a oggi si è verificato un assestamento che ha seguito le tendenze in atto. Le sedi umane discoste dai bacini dove sono andati concentrandosi consumi, produzione, ricchezza, demografia proseguono per forza d’inerzia la corsa verso l’abbandono totale. Si è tentato di gettar loro il salvagente delle strade asfaltate. Il salvagente è spesso servito ad anticipare l’esodo, alla penetrazione di curiosità interessate, alla ricerca di edifici contadini da adattare a seconda residenza, e, talvolta, alla rapina.”
“Si sono osservati insistenti tentativi di acquisti di aree a Lorènz e a Verra, nell’alta Valle di Fassa, al cospetto della rumorosa, inquinata, svagata città turistica di Canazei che a macchia d’olio si espande travolgendo ogni cosa.”
“La vaghezza della seconda casa in montagna, da abitare sì e no un paio di mesi all’anno, si è fatta ovunque una sorta di necessità. Si sta occultamente divulgando la costosa aspirazione ai “rifugi atomici” famigliari da stabilire in appartata zone montane. I villaggi favoriti dalla natura, perché prossimi alle intasate stazioni del turismo detto di massa e del turismo d’élite, e che hanno difeso la loro dignità, sono insidiati con insistenza dall’esterno (ma anche dall’interno). I villaggi meno favoriti corrono il rischio opposto, quello di essere depennati dalla geografia.”
“La tendenza allo spopolamento della montagna e alla concentrazione nella valle dell’Adige e in altri pochi siti geografici urbanizzati fondovallivi si è negli ultimi anni precisata. La montagna muore. […] Il tormentato scenario dei gradoni di coltura dove è scritta la vera storia del Trentino sta franando. La vegetazione e le acque selvagge lo riprendono. La nuova agricoltura sovvenzionata si è impossessata dei bacini che permettono le monocolture meccanizzate e chimicizzate. La civiltà contadina, che da millenni viveva inalleanza con la natura, sta decadendo assieme ai gradoni. Se un certo ritorno al “popolare” si nota, questo avviene per inconscio bisogno di sopravvivenza esistenziale non certo per ripercorrere i sentieri tutti assieme nel reciproco antico rispetto, nei confronti del prossimo e nei confronti dell’ambiente.”
Forse siamo andati abbondantemente oltre le infauste previsioni di Aldo Gorfer, o forse invece va bene così, va bene come è ora, la montagna come appendice della città. Non sta a me giudicare, ma per quanto mi riguarda non è questa la montagna che sento io né quella che voglio. Voi cosa ne pensate?
Chiudo suggerendovi di leggere non solo questo libro “Solo il vento bussa alla porta“, ma anche “Gli eredi della solitudine” pubblicato nel 1973 nel quale, sempre tramite la formula dell’inchiesta giornalistica, Aldo Gorfer si spinge insieme a Flavio Faganello, nelle valli più isolate ed impervie dell’Alto Adige. Un libro che per chi vuole conoscere la montagna e la sua gente non può mancare nella propria libreria.
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