Siamo abituati a pensare ai confini come elementi divisori. Confini naturali o artificiali, a volta fisici altre volte mentali, poco importa della natura del confine, quello che a noi interessa è l’impossibilità di superare quel limite.
Come del resto definisce il filosofo francese Michel Foucault, il confine è un “dispositivo spaziale che regola e dispone il rapporto tra dentro e fuori, tra inclusione ed esclusione“.
Partendo quindi da questa idea, ad inizio settembre ho proposto a Michele di incontrarci proprio su uno di questi confini, ognuno salendo dalla sua parte.
Il punto di incontro era il passo del Muretto (2562 m) che collega Maloja nell’Alta Engadina a Sondrio attraverso Chiareggio e Chiesa in Valmalenco.
Ho scelto questo passo sia per la curiosità di vedere un luogo nuovo, ma anche per i suoi aspetti storici.
Il passo del Muretto infatti, insieme al passo del Settimo, ha rappresentato la via più breve tra Coira in Svizzera e la Valtellina.
Documentandomi su questo passo, ho poi scoperto il versante italiano molto più semplice da salire per la presenza di una vecchia strada militare costruita ad inizio ‘900 e appartenente a quella che era la Frontiera Nord (Linea Cadorna).
Il versante svizzero invece, lasciato un po’ a se stesso, scoprirò essere piuttosto ostico oltre che fisicamente impegnativo.
L’idea di base da cui è nata l’intenzione di trovarci su questo passo era quella di vivere per una piccola frazione di tempo l’esperienza del “viandante” di tempi ormai remoti che per motivi vari (religiosi, economici, politici) intraprendeva quello che doveva essere un cammino denso di emozioni ed aspettative.
L’idea per me di confine, seppur molto presente a livello privato, fatico però a concepirla come elemento divisorio transnazionale.
Ho cominciato infatti a pensare ai confini non come elementi divisori, ma come luoghi di scambio culturale. Un po’ come il paesaggio che prima di ogni altra cosa è cultura.
E’ con questo sentimento che venerdì 6 settembre mi sono incamminato lungo la Val Forno prima e la Val Muretto poi, zone a me completamente sconosciute. Il mio intento era semplicemente quello di incontrare Michele al passo e stringerci la mano come segno di conferma.
In un ambiente piuttosto severo, ho risalito la valle tra ponti di neve marcia, ammassi di rocce scomposte e sfasciumi di ogni genere.
Per le 3 ore di cammino ho continuato a chiedermi chi, e come, qualche centinaio di anni fa, si avventurava su questa via carico di aspettative. Senza il vestiario di oggi e senza le conoscenze tecnologiche odierne, ma solo spinto “dal bisogno”.
Mi sono chiesto ripetutamente come sia stato possibile far transitare bestie da soma lungo questo sentiero che altro non è se non una traccia il più delle volte ideale.
Mi sono chiesto come doveva essere questo ambiente in epoche “più fredde”.
Mi sono fatto tante domande le cui risposte probabilmente richiederebbero troppe ricerche.
Giunto al passo non posso godere di nessuna vista se non del grigio delel nuvole. Mi siedo al riparo di un sasso, mi cambio e nell’attesa di Michele lascio la mente vagare fino a soffermarsi su un ricordo.
Sì, proprio qui 80 anni fa, è passato in quello che era il suo ultimo giorno, Ettore Castiglioni. Uno dei pochi alpinisti sui quali ho fantasticato moltissimo. Una lettura, quella de “Il giorno delle Mésules” che in un periodo buio della mia vita mi ha permesso di ricucire un rapporto con la Montagna che credevo lacerato per sempre.
Quanta cultura è passata attraverso questi pochi metri di confine?
Quante speranze, quanta sofferenza, quanta morta, quanta gioia.
Oggi voglio prendere questo luogo ad esempio di tutti i luoghi di confine ed immaginarmeli come luoghi di incontro.
Oggi non ho proprio più voglia di confini ma forse solo di soglie.
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