La neve è caduta. I giorni sono passati. Quel morbido tappeto bianco che si è depositato lentamente cambia forma.

Si compatta, si indurisce. Si trasforma a tal punto da divenire un’unica lastra. Non è più neve è ghiaccio.
Lo scarpone morde il questa sostanza in una profusione di rumore secchi. Lo scricchiolio del ghiaccio che si frantuma sotto il mio peso accompagna ogni mio passo.
Furtivo mi addentro sempre più in profondità in questo bosco. Un velo uniforme bianco è rotto solo dai tronchi che possenti si ergono verso il cielo a cercare quella luce così indispensabile alla loro crescita e sopravvivenza.

La neve è molto strana e conoscerla è affare complesso. A volte ti sostiene come se fosse pietra, altre volte non oppone nessuna resistenza e ti lascia sprofondare fino alla coscia. Ma c’è uno stato nel quale la neve sembra prendersi gioco di noi. Con l’illusione di fornirci un solido appoggio per la nostra fragile agilità di bipedi, ci colpo si lascia fratturare lasciandoci alla mercé delle sue profondità. Il crack che accompagna ogni passo è sinonimo di fatica e sudore. Si avanza a fatica, col timore e la speranza nel cuore che il passo successivo si concluda senza inganni, ma una volta che si inizia difficilmente se ne esce.
Oggi è una giornata da “crack”.

Inutile prendersela, non è certo colpa della neve. Non è nemmeno colpa nostra. Si tratta solo di accettare che non possiamo farci nulla. Mi guardo intorno lasciando spaziare il mio sguardo lungo i tronchi delle conifere alla ricerca di quelle geometrie caotiche e al tempo stesso ordinate che spesso il bosco sa regalare ad un osservatore attento.
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