Sono partito con l’intenzione di mettermi alla prova. Studiando la cartina ho contato 1000 e passa metri di dislivello, un passaggio delicato ed esposto da affrontare ed ho messo in conto il caldo afoso che solo l’Appennino sa regalare in estate. Queste le premesse per la mia salita all’Alpe di Succiso.
Si sale dapprima all’interno di un rigoglioso bosco di faggi seguendo un’antica mulattiera, un tempo via di comunicazione, ancora ben visibile nonostante l’imponente frana avvenuta negli anni ’70.
Ancora evidente il piano di socrrimento delle rocce che lunga la vallata glaciale si riversarono a valle.
Si suda copiosamente nonostante l’omnbreggiatura del bosco.
Non posso non pensare a questa origine glaciale di tante valli appenniniche.
Oggi, che di quel periodo non rimane che qualche segno di scorrimento sulle rocce e la tipica conformazione ad U delle valli come questa, guardo i dolci pendii che a fatica raccontano un trapassato remoto che non riesco ad immaginare.
Cerco di immaginare il fronte del ghiacciaio con la sua morena proteso verso valle, cerco di immaginare una distesa priva di alberi dove oggi il bosco domina incontrastato, cerco di immaginare una temperatura che non è quella di oggi.
Si sale senza soluzione di continuità fino al limite del bosco dove incontro un bivacco.
Sede di un antico insediamento di carbonai, oggi vede solo la presenza di questa struttura, comodo punto di appoggio soprattutto nella stagione invernale.
Ultimi faggi, qualche cespuglio e le ultime rampe per raggiungere il Passo di Pietratagliata.
Bellissimo toponimo dal quale si gode una vista invidiabile.
Un buon posto per una sosta e per uno sguardo sui monti circostanti.
Ma che cos’è un passo?
Un passo per me non è mai un luogo di arrivo, è sempre un luogo di passaggio, di transito, di attraversamento.
A volte è fonte di racconti e leggende, altre di grandi imprese.
Il passo di Pietratagliata, oltre ad essere lo spartiacque naturale tra il bacino del fiume Secchia e quello del fiume Enza, racconta di un fantomatico passaggio dell’esercito di Federico Barbarossa in fuga dai Comuni lombardi.

Oggi ammiro le stratificazioni rocciose che formano geometrie così tanto in linea con il mio sentire. Guardo con preoccupazione questo passaggio esposto e delicato. Tanti dubbi e domande foraggiate dalla mia solita paura di farmi male.
Ma guardo anche verso il basso, là dove quel prato che ho calpestato solo pochi mesi fa, vede nascere uno dei miei fiumi: il Secchia.
Da qui si gode di tutta l’ariosità che un passo può fornire. Si ha quasi l’impressione di poter dominare il mondo da quassù. E’ solo una pia illusione.
Afferro il cavo d’acciaio con una mano mentre certo di recuperare quelle nozioni di arrampicata sepolte sotto anni di inattività.
Salgo con il cuore in gola cercando di dominare gli istinti. Respiro lentamente e metro dopo metro esco da questo naso di roccia vero scoglio di giornata.
Finalmente si intravede la cima dell’Alpe di Succiso, manca ancora un bel po’ di sentiero e di dislivello.
Più salgo e più l’immensa conca che descrive i perimetri dell’Alpe di Succiso prende forma.
Prati scoscesi e balzi di roccia.

L’idea di una grande pale inclinata mi porta finalmente in cima.
Nubi da umidità vanno e vengono, nessun’altra presenza a coreografare questo momento.
Seguo la bella cresta che porta verso il Monte Casarola.
Un sali scendi mai complicato allevia il bruciore alle gambe della salita appena conclusa portandomi all’imbocco del vallone del Rio Pascolo.
Così come sono salito senza soluzione di continuità, così ora scendo a capofitto.

In questo vallone ho la vaga percezione di cosa debba essere stata l’era glaciale e sopratutto gli sconvolgimenti seguiti alla sua fine.
Qui la montagna semplicemente si frantuma in mille milioni di piccole e grandi rocce.
Qui tramonta definitivamente l’idea di roccia come un elemento durevole.
Qui tramonta l’idea di tempo.

Attraverso questo vallone enorme sormontato da una parete che pare la pelle di un grado.
Scaglie di rocce distese ed inerti si contrappongono a quelle ancora appese al nulla della parete.
In mezzo massi, lastre, mirtilli, muschi.
Finalmente ricompare il bosco, si continua a scendere e superato il rifugio Rio Pascolo Paolo i faggi ritornano padroni incontrastati della valle.
Con i piedi doloranti e le spalle piuttosto sofferenti, guardagno finalmente l’agognata fontana nella quale immermi spiritualmente oltre che fisicamente.
L’acqua fredda di fonte ha un non so che ti profondamente spirituale nel suo atto di dissetare.
Mi godo questi ultimi momenti assaporando questa che è la fonte primaria di vita e ripenso alla giornata odierna durante la quale non ho incontrato nessun rivolo di acqua, nessun zampillo, nessuna goccia solitaria ma solo aridità.
Il nostro futuro non ha certo le tinte rosee di un bel tramonto quanto quelle fosche di una brutta tempesta.
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