Qualche settimana fa mi sono sentito rivolgere una domanda che sul momento mi ha trovato prontissimo a fornire una risposta che ritengo generalmente corretta.
La questione era, più o meno perchè è già passato un po’ di tempo, sul fatto se seguissi o mi interessassi al lavoro di altri fotografi ecc.
Ovviamente la risposta è venuta spontanea e mi ha dato l’occasione per raccontare al mio interlocutore di come normalmente la fotografia sia il risultato di una summa data sì dalla visione di altre fotografie, ma non solo!
Infatti come afferma il Maestro:
Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato.
anche io mi ci ritrovo pienamente in questa citazione ed il percorso che da qualche anno ho intrapreso, fatto sopratutto di letture e approfondimenti artistici non prettamente fotografici, ne è la riprova.
Ma oggi voglio fare un mea culpa, nel senso che mi sono reso conto che questo concetto che lo scatto fotografico è solo un momento all’interno del processo che porta a realizzare una fotografia, l’ho dato per scontato.
Forse perchè la mia è una fotografia essenzialmente di paesaggio e di montagna, ed ho pensato che chi frequenta le terre alte automaticamente faccia suo questo concetto.
Nulla di più sbagliato.
Penso che questa idea nasca molto probabilmente dal fatto che tutti noi quando andiamo in montagna scattiamo tante fotografie per i motivi più disparati, il primo credo sia perchè quello che vediamo ci emoziona e ci piace.
E’ un’azione di testimonianza quella che facciamo, di archiviazione, di ricordo.
Cioè il fine ultimo è quello di portarci a casa quell’immagine tanto bella ed emozionante che abbiamo in un dato momento di fronte a noi. Almeno per me è così.
Questo però può avvenire senza che ci sia una reale consapevolezza del perchè si sia deciso di scattare proprio quella fotografia. Magari il processo avviene per semplice istinto.
E qui nasce il mio mea culpa, perchè supporre che la propria visione o il proprio approccio sia l’unico o sia patrimonio condiviso è assolutamente sbagliato.
D’altronde io ci ho impiegato almeno 5 anni, e tutt’ora sono in cammino, per definire quello che voglio rappresentare e come voglio farlo.
Non solo, ma mi rendo conto che riuscire a porsi sempre nella maniera più aperta possibile non è per niente faclie. Negli ultimi mesi ho cambiato radicalmente il modo di scrivere e di pormi verso le questioni che mi stanno più a cuore.
Non basta, nel senso che a tutt’oggi non ho ancora reso automatico questo tipo di forma mentis ma devo esercitare un certo tipo di pensiero consapevole per non cadere nei cliché con cui sono cresciuto.
Il cammino è ancora lungo.
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