Adoro le cartine, le mappe antiche, gli schizzi geografici di qualunque tipo.
Per anni quando ero piccolo, aprivo il cassettone dell’armadio che stava in sala e tiravo fuori le vecchie cartine ormai consunte di mio padre.
Ne ricordo una in particolare che rappresentava l’intera Europa.
A forza di aprirla e richiuderla si erano formati quei classici fori lungo le pieghe.
Ogni volta era un po’ come dispiegare un antico manoscritto.
Ricordo quella sensazione di smarrimento data dal non avere veri punti di riferimento. Un insieme di linee colorate, nomi di paesi e città per lo più sconosciute.
E’ stato probabilmente il mio primo modo di viaggiare con l’immaginazione.
Oggi, tempestato dalla tecnologia, non perdo occasione per acquistare ad esempio le cartine dei sentieri che mi interessano.
La cartina di carta, oggetto tangibile e consultabile in ogni momento e luogo, è per me imprescindibile per l’esplorazione e la scoperta di un luogo. Sia esso conosciuto che sconosciuto.
Ma dalla cartina al sentiero il passo non è breve come ci si può aspettare.
Infatti la percezione del territorio, al netto degli aspetti oggettivi, è, per chi cammina, un’esperienza del tutto personale e personalizzata.
Innanzitutto il concetto che la mappa non è il territorio trova la sua prima conferma nell’esperienza diretta che ognuno di noi fa uscendo dalla porta di casa.
Si tratta ovviamente di un’esperienza prettamente fisica, motoria, ovvero lasciarsi trasportare dai passi. Questa azione, per quanto banale, ci pone immediamente in contrapposizione con le caratteristiche del terreno che stiamo affrontando.
La città con le sue barriere architettoniche ad esempio, piuttosto che la montagna con i suoi saliscendi.
Per quanto una mappa possa essere precisa, non potrà mai sostituire l’esperienza diretta sul campo.
Esperienza che accede anche a tutta quella serie di emozioni date dal vivere. A tal proposito mi “sovviene “piace” ricordare una delle ultime uscite sulla neve durante la quale si decide di seguire una traccia abbastanza evidente per rientrare.
Traccia che lentamente ci porta lungo un pendio particolarmente insidioso attivando una serie di mappe mentali ed emotive che descrivono un paesaggio interiore decorato, nel mio caso, di insicurezze e paure.
Durante l’estenuante discesa ripenso alle mappe viste e confronto con l’implacabile situazione del reale.
In questi casi l’immaginazione lascia poco spazio rispetto all’orografia del territorio.
Ma nel toccare con mano che la mappa non è il territorio, penso si faccia un esercizio importantissimo di apprendimento e di conoscenza. E’ come accettare, conclamare, che quella rappresentazione su carta del paesaggio altro non che una proiezione bidimensionale della nostra immaginazione.
Immaginazione che trova tra i suoi massimi esponenti Heinrich Berann, indiscusso creatore di quelle mappe “turistiche” che per anni ho visto negli hotel e negli uffici turistici dell’Alto Adige.
Oggi mi viene da confrontare le sue mappe con quelle che spesso disegno a pennarello nel mio studio e sulle quali riporto annotazioni o elementi di rilievo che durante l’uscita mi sono rimasti particolarmente impressi. Confronto che mi lascia particolarmente confortato nel constatare come la mia percezione del territorio, e la rappresentazione che ne do di esso, trovano molta più attinenza con la realtà che non le mappe turistiche di cui sopra.
Quindi, senza nulla togliere a Berann, l’immagine che abbiamo del territorio prende necessariamente forma nella nostra mente in proporzione all’esperienza del territorio stesso.
Più volte ripetiamo questo gesto, e più il territorio si consolida divenendo da luogo remoto ed inospitale ad una sorta di “giardino di casa”.
Questo processo mentale andrebbe approfondito, ma non so come 🙂
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