Relativamente alla rappresentazione della montagna, ma il discorso può essere ampliato ed applicato tranquillamente ad altri ambiti, ho già espresso più e più volte la mia opinione a riguardo.
Semplificando il mio pensiero, ritengo che per cercare di cambiare la narrazione a senso unico della montagna, uno dei modi possibili è quello di promuovere la propria visione del paesaggio montano assecondando il proprio sentire.
Questo significa ad esempio dare spazio all’ascolto di se stessi e dare tempo alla ricerca personale.
Cosa si ottiene, noi come pubblico, in cambio?
Che di uno stesso soggetto avremo tante rappresentazioni quanti sono gli osservatori che concretizzano la loro visione, quindi non più un flusso indistinto di fotografie tutte identiche degli stessi posti, ma una varietà infinita di immagini non solo dei “soliti posti” ma anche di angoli meno battuti e conosciuti.
E chi fotografa cosa ottiene?
Innanzitutto l’unicità della sua opera frutto della propria visione personale e non di una replica di un già visto e fatto.
La soddisfazione di realizzare un’idea, un progetto.
Chiudo questa premessa con la convinzione che ogni visione personale sia valida. Nonostante si stiano alzando voci contrarie a riguardo, io penso fortemente che già il fatto di aver qualcosa da dire attraverso la fotografia sia meritevole di considerazione.
Ricordo, per chi se lo fosse dimenticato, che fotografare è essenzialmente un’operazione di rimozione, no non attraverso l’intelligenza artificiale, ma attraverso lo sguardo personale e quindi l’inquadratura.
A volte mi criticano perchè vado a fotografare il bello io ometto tutto ciò che brutto sporco è […] non mostro mai quello che non va in natura […] è una scelta “scavare nella disperazione o celebrare la bellezza”
Vincent Munier
Mi chiedo quindi se si possa uscire dal cliché, consolidato, che prevede la montagna, ogni montagna, assumere le sembianze che un numero spropositato di immagini tutte più o meno identiche, la rappresentano.
Sono anni che ripeto che il paesaggio in generale e la montagna in particolare, non hanno più una propria anima, una propria personalità, in quanto esistono solo in funzione delle immagini che la riproducono.
Se pensiamo che in questo 2024 verranno scattate, foto più foto meno, circa 1,94 trilioni di fotografie, e che ogni giorno ne vengono scattate circa 5,3 miliardi, pare evidente che quello che produciamo ha pochissime chances di emergere da questo fiume in piena soprattutto se la nostra opera ricalca un pattern “alla moda” o “in voga”.
Qui qualche statistica: https://photutorial.com/photos-statistics/#how-many-photos-are-taken-each-year
Quest’anno, come ho ampiamente documentato nella newsletter e nei vari post dello scorso agosto, mi sono dedicato al progetto di fotografare una delle montagne iconiche nel gruppo del Bernina ovvero la Biancograt.
Di questa cresta la quasi totalità delle fotografie che restituisce una ricerca per immagini su Google, è la medesima. La stessa che ho voluto fare anche io, frutto di uno studio sul campo e in rete, dal quale mi sono fatto un’idea precisa di come volevo fotografarla ovvero qual era il risultato finale che volevo ottenere.
Ma questo progetto, per quanto importante, è stata una parentesi nella mia attività di fotografo di montagna. Ho continuato a fotografare tanto, anche la Biancograt da prospettive diverse, e tante montagne, laghi, boschi, alberi, sassi…
Forse, anche grazie a questo progetto durato 4 mesi, ho instaurato un legame particolare con questa cresta, fatto sta che anche in agosto ed in settembre ho realizzato fotografie che in rete non ho trovato (attenzione, non significa che non esistano, ma semplicemente vengono subissate dal flusso mainstream che vuole quella cresta rappresentata in quel modo).
Fotografie che ritengo abbiano il loro valore ma che rimangono relegate ad una nicchia di osservatori, ad esempio tu che stai leggendo questo post.
Ed eccoci tornati al punto di partenza, ovvero promuovere una narrazione diversa della montagna partendo dalla rappresentazione fotografica.
Per quanto mi riguarda, i capisaldi della mia fotografia di montagna vertono su:
- assenza, per quanto possibile, di persone e/o manufatti antropici
- ricerca e valorizzazione di quelle geometrie e linee che mi emozionano
- limitare al massimo la condivisione delle posizioni
- promuovere l’esperienza e la crescita personale prima ancora che quella fotografica
Fino a quando però la massa critica di immagini che muove il mainstream manterrà le numeriche attuali, l’immagine e l’immaginario di chi si avvicina alla montagna non potrà scostarsi di molto da quello che oggi la comunicazione a senso unico infonde massivamente ed efficacemente attraverso i vari canali a sua disposizione.
Ecco perchè insisto tanto sul trovare la propria voce, dare spazio al proprio io, valorizzare la propria visione.
Fino ad allora questa lotta tra Davide e Golia vedrà la montagna, in ogni suo aspetto, sconfitta ed immolata come vittima sacrificale sull’altare del consumismo.
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