Qualche settimana fa abbiamo fatto tappa a Marradi, paese natale di Dino Campana, durante un lungo viaggio via treno attraverso l’appennino Tosco-Romagnolo.
Marradi, un semplice paesino di passaggio sulla storica via faentina che collega appunto Firenze e Faenza, diviso in due dal fiume Senio, è un concentrato di “paesaggio”.
Arrivando a Marradi da Borgo San Lorenzo, alcuni scorci mi colgono particolarmente impreparato.
L’asprezza dell’appennino con le sorprendenti verticalità è seconda solo alla sensazione di impenetrabilità data dai boschi onnipresenti.
Guardo rapido tra una galleria e l’altra i pendi che si gettano a capofitto lungo gole e burroni.
Penso a cosa volesse dire nascere qui a fine ottocento.
Penso a quel Dino Campana, conosciuto pochi anni fa, penso alla sua poetica del paesaggio e a quanto sia moderna oggi che invece di paesaggio siamo sommersi.
Ho voluto così riprendere l’incipit di Canti Orfici:
Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, arsa su la pianura sterminata nell’Agosto torrido, con il lontano refrigerio di colline verdi e molli sullo sfondo. Archi enormemente vuoti di ponti sul fiume, impaludato in magre stagnazioni plumbee: sagome nere di zingari mobili e silenziose sulla riva: tra il barbaglio lontano di un canneto lontane forme ignude di adolescenti e il profilo e la barba giudaica di un vecchio: e a un tratto dal mezzo dell’acqua morta le zingare e un canto, da la palude afona una nenia primordiale monotona e irritante: e del tempo fu sospeso il corso.
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