Il sole è ancora capace di scaldare gli ultimi fili d’erba che ancora trattengono quel profumo d’estate che il mio naso riconosce come casa.
Il cielo blu è striato da nuvole bianche come il cotone e mentre risalgo i primi pendii, sento già il cuore in gola a ricordarmi che qui vige la legge della lentezza.
Con lo sguardo basso lascio che i pensieri della settimana appena finita mi scivolino lungo le gambe fino ad uscire dalle punte degli scarponi che, un passo dopo l’altro, guadagnano metri.
L’erba è ora solo un ricordo ed il rumore della roccia che stride sotto le suole mi ricorda l’asprezza e la durezza di questa vita che se non la vivessi in prima persona ogni giorno, non saprei che faccia darle.
Trasporto come sempre il mio fardello sulle spalle ed il sudore che già cola copiosamente sulla schiena fa il paio con quello che i polmoni sprigionano sul petto.
Un sorso d’acqua, uno sguardo fugace al castello di pietra che domina il mio orizzonte.
Come sono diverso da qualche anno fa quando, di fronte a tanta fatica, l’unico pensiero che sarei riuscito a formulare sarebbe stato un laconico: “Ma chi me l’ha fatto fare?!”.
Oggi accolgo questa fatica come espressione del mio essere, come manifestazione di vita. Sono vivo. Respiro a pieni polmoni questa aria autunnale.
Mi pare di poterla sentire mentre mi accarezza le dita. E’ un’aria leggera, pulita. Un’aria che fa sognare, forse anche i cuori più duri.
La montagna incombe su e dentro di me.

I metri si accumulano uno sull’altro come il grano macinato si accumula nei sacchi. Avanti e in alto.
In alto fino a quando sopra di me altro non rimane che un cielo vuoto ed anonimo.
I passi sono finiti. Il sudore lentamente si asciuga lasciando i segni della sua presenza sulla maglietta.
Ascolto il cuore che piano piano cerca di recupera il suo tam tam abituale.
Fermarsi non è mai facile, la macchina continua a lavorare ignara che le ruote si sono fermate. E’ un momento nel quale cerco sempre di respirare a fondo per evitare che il motore si ingolfi.
Lo sento che vorrebbe cavalcare impazzito il ritmo spezzando le catene ed inseguire libero le praterie sconfinate dell’ovest.
A stento lo trattengo e mentre finalmente si rilassa, alzo lo sguardo per cercare chi sono.
Ogni cosa intorno a me concorre a darmi una forma, una essenza.
Eccomi qui, sono un animale come miliardi su questa terra, sono vivo, sono qui. Non significo nulla ma al tempo stesso significo tutto.
Mi siedo, schiena alla roccia, e guardo i miei simili con ali nere volteggiare trasportati dal vento. Penso a quando sia bello potersi librare nell’aria giocando con le correnti senza rendermi conto che qui di giochi non ce ne sono, qui c’è solo la quotidiana lotta per sopravvivere procurandosi il cibo ed evitando di diventarlo per qualcun altro.
E’ bene ricordarselo. E’ bene ricordarsi quanto la Natura si equanime con tutti gli esseri viventi, noi compresi, anche se da tempo immemore non vogliamo più accettarlo.
Con l’animo leggero mi incammino lungo una discesa che non conosco. Ignoro i miei simili che con incessante frequenza incontro nella loro salita.
Non provo nessun sentimento verso di loro, sono avvolto nella solitudine della Natura. Come un mantello me la sento sulla schiena accompagnarmi verso quel dolce pendio dove un gregge di pecore pascola indisciplinato.
Serve veramente altro?

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