“Il vento ha sussurrato dolcemente attraverso gli scuri, o ha alitato in sbuffi di piumata morbidezza contro le finestre, mentre di tanto in tanto sospirava simile alla brezza che d’estate gonfia le fronde degli alberi soffiando senza posa, per tutta la notte. Il topo campagnolo si è assopito all’interno del suo accogliente cunicolo sotto la zolla; il gufo si è rincantucciato al riparo di un tronco cavo nel cuore della palude; il coniglio, lo scoiattolo, la volpe – ciascuno di essi ha trovato il suo alloggio. Il cane da guardia se n’è rimasto sdraiato tranquillo dinanzi al focolare, e nella stalla le vacche han continuato a ruminare in silenzio. La terra stessa si è addormentata, quasi fosse il suo primo sonno, non il suo ultimo, trasalendo appena al cigolio d’un cancelletto di giardino o di una porta di baracca sui propri cardini, – l’unico rumore a destarsi tra Venere e Marte, – incoraggiando la natura derelitta al suo travaglio di mezzanotte e facendoci avvertire una sensazione di remoto, intimo calore, un tripudio, una celeste armonia alla quale gli dèi cooperano di comune accordo, ma a cui per gli uomini è alquanto desolante presenziare. Eppure, mentre la terra giù in basso sonnecchiava, da tutte le regioni dell’aria superna si riversava vivace un polverio di fiocchi piumosi, come se una nordica Cerere dominasse il cielo facendo piovere su ogni campo la sua argentea semenza.”
Una passeggiata d’inverno, H. Thoreau

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