Siamo abituati a misurare il tempo in relazione alla nostra vecchiaia, la percezione quindi che ne abbiamo è fortemente viziata dall’orizzonte temporale della nostra vita.
Spesso leggo appelli disperati per salvare quel luogo piuttosto che quella montagna piuttosto che la qualunque.
La verità è che non c’è nulla da salvare perchè il mondo sarà qui anche quando noi non ci saremo più e se invece non ci sarà più ma noi sì, beh vorrà semplicemente dire che era la sua naturale evoluzione quella di scomparire.
Mi sembra veramente facile come concetto.
Quello che non lo è invece è accettare che il centro dell’universo non è l’uomo.
Bisogna che se ne prenda atto!
Io capisco che nel corso dei millenni ce la siamo raccontata benissimo, ma è ormai giunta l’ora anche di fare i conti con la realtà che qualunque cosa si faccia l’impatto alla fine è ridicolo.
Detto ciò, mi piace condividere un paio di immagini realizzate qualche giorno fa, di quello che per me è un segno ineluttabile di come il tempo disintegri ogni cosa.

I calanchi sono un esempio lampante di come gli elementi, uniti a determinate condizioni ambientali, modellino e disgreghino il paesaggio.
Il destino di questo pianeta forse sarà un arido deserto di terra e sabbia.

Per fortuna o no, negli anni che mi rimangono da vivere su questo pianeta non credo che vedrò particolari mutamenti nel mio territorio, non più di quelli che noi apportiamo, ma magari tra 10 generazioni queste creste, queste colline potrebbe essere solo un lontano ricordo.
Fissarle nella memoria è un esercizio, al pari dell’immaginazione, indispensabile per le generazioni future.

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