“La grande parete nord-ovest della Civetta, una vera e imponente muraglia di rocce a picco con migliaia di spaccature verticali, dalla cima alle falde e più elevata al centro, si erge in fondo alla valle, oltre il Cordevole in direzione di Caprile, simile ad un grande organo che chiuda la navata di una cattedrale. Verso sera accoglie tutto lo splendore del crepuscolo e, al mattino, quando il sole a oriente è ancora basso, attraverso un velo d’ombra azzurro e soffice, questa montagna appare vaga e irreale come un sogno. Fu così che la vidi la prima volta”
Sfiorai il Civetta nel lontano luglio 1997 sotto un diluvio universale. Allora non capivo nulla di paesaggio e di montagna, sapevo solo che dovevo andare.
Tornai sotto la sua parete dal 2014 al 2016. Tre volte. Tre soggiorni trascorsi alla sua ombra ad assorbire l’essenza di un paesaggio tanto opprimente quanto esaltante.
Quella parete, quella verticalità così impossibile da concepire, domina non solo il paesaggio, domina i pensieri.
Come in una fucina essi vengono piegati ad una realtà di roccia che ai più appare orripilante.
Ma c’è sempre una geometria a cui ricondurre anche il paesaggio più alieno.
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