Nell’estate del 2020 un simpatico gruppo di amici coniò un termine per definire le mie fotografie particolarmente cupe con la parola “macchiate” prendendo spunto dal mio cognome.
Al di là del gioco di parole, in quel momento reputai quell’appellativo come un momento importante nel mio percorso fotografico in quanto segnava un modo per identificare un certo tipo di fotografia prodotta da me ovvero il mio linguaggio non era più solo mio ma era diventato di uso comune, riconoscibile.
Chiaramente il mio percorso non era per nulla terminato, anzi, a tutt’oggi continua sia nell’esplorazione di nuove narrative che nel perfezionamento delle vecchie.
Il mio stile, il mio linguaggio, si va via via consolidando non solo nelle parole ma anche nelle immagini.
In questo viaggio che è la fotografia, una parola nuova si è inserita nel mio vocabolario grazie all’amico Graia: buio.
Riporto di seguito il commento di Alberto da cui sto prendendo spunto per questo post:
Filippo camminare in un bosco di notte, dove il nero ha il sopravvento, sentirsi perduti, oppure in una caverna e spegnere le luci, li il buio è totale, nemmeno le stelle tra i rami, solo un buio totale, fisico, tangibile.
Cercare, illudersi di capire, quanto ci siamo allontanati dallo spirito selvaggio.
E poi ritornare.
Mi accompagna spesso questa poesia di Montale.
“Forse un mattino andando in un’aria di vetro
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.”
Noi il buio lo vediamo
Ma cosa significa vedere il buio?
Detta così, non ne ho la più vaga idea, però quello che mi sento di dire è che il mio linguaggio, la mia cifra stilistica, prende il via dal buio, dalle ombre, dallo scuro, dal nero.
Il mio buio non è un buio a caso, ma è frutto di un sentire e di un vedere, non solo la fotografia ma la vita tutta in una determinata maniera: buia appunto.
Non tutte le fotografie però nascono “buie” e non tutte lo diventano dopo proprio perchè il mio processo creativo segue innanzitutto il mio sentire della giornata o del momento.
Il buio quindi è il risultato di una serie di valutazioni che in parte faccio in fase di ripresa e che dipendono essenzialmente dalle condizioni di luce, dal momento della giornata, dal soggetto fotografato, da come mi sento nel momento dello scatto, ecc..
Condizioni quindi che non sono mai prevedibili e che necessitano per forza di cose di un’abbondante sforzo di risonanza con l’ambiente.
Ma è solo una parte di tutto il processo perchè una volta rientrato in studio inizia la seconda fase di produzione di una fotografia che riguarda appunto la post produzione.
Anche qui, non si tratta di una serie di tentativi alla ricerca di un risultato, ma si tratta di un’analisi approfondita degli scatti fatti (selezione e scarto) per passare poi alla scelta finale di quelle poche fotografie che secondo il mio giudizio meritano di essere elevate.
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