L’importanza di saper raccontare il passato diventa ogni giorno di più fondamentale per non perdere la storia della nostra specie a partire dalle fondamenta ovvero l’ambiente nel quale viviamo.
In un contesto nel quale i cambiamenti avvengono ad una velocità tale da impedire a qualunque specie di adattarsi, serve una cultura del racconto priva di epicità ma ricca di fatti, di aneddoti, di cose concrete da fissare nella memoria.
A metà di questo ennesimo non inverno, è inutile trarre una qualsiasi conclusione che non vada nella direzione dello scavare nella memoria, per quanto mi riguarda ormai ultra quarantennale, e cercare quelle briciole di ricordi per formulare un racconto del recupero pregno di nostalgia verso un’era che ci sta velocemente abbandonando a noi stessi.
Come sempre la nostra specie di fronte al baratro non è in grado di trovare soluzioni efficaci di lunga durata anzi, come ogni moribondo che si rispetti, si agita convulsamente proponendo scenari che ormai fanno parte del panorama comico di cui solo noi siamo in grado di esprimere a così alti livelli.
Non passa giorno che qualche benpensante non proponga l’ennesima cattedrale nel deserto a scudo di un mondo che, in termini evoluzionistici, sta collassando alla velocità della luce. E’ uno stillicidio di inutili proposte, quando va bene, il più delle volte dannose, rivolte solo ad appagare l’immediato domani.
Proprio non riusciamo a ragionare come specie. Forse abbiamo già dato tutto nei secoli passati. Pare anacronistico come la nostra grande forza di fare rete oggi abbia perso qualunque efficacia.
In questo quadro desolante, ricorderemo anche questo inverno 2020 come l’ennesimo inverno horribilis. Gli incendi in Australia, l’inquinamento devastante, le tempeste di neve in Canada, le temperature medie ridicolamente sempre più alte, i migliaia di metri cubi di neve sparata, ecc.
Lascio a voi il piacere e la fantasia di continuare l’elenco delle meraviglie di questa stagione.
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