Per moltissimi anni ho ignorato l’esistenza delle betulle.
Sono cresciuto all’ombra di una quercia enorme e per tutta la mia infanzia questo albero ha rappresentato l’unico appiglio verso un’idea di natura.
Dopo la quercia sono venuti gli abeti. In un miscuglio confuso tra idolatria per il Natale e passione sfrenata per la montagna, tutto quello che ruotava intorno agli abeti e pini si è conquistato un posto di prim’ordine nel mio immaginario.
Negli ultimi anni ho però ampliato la mia cultura arborea.
Ho conosciuto tantissimi alberi, mi piacciono tutti, ma tra i tanti oggi voglio elevare la betulla.

Ho scoperto questa poesia di Robert Frost, poeta americano vissuto nel secolo scorso, proprio a tema betulla.
Betulle
Quando vedo le betulle curvarsi a destra e a manca
Fra le linee degli alberi più scuri, ritti,
Amo pensare che un ragazzo vi stia dondolando.
Ma dondolarsi non li farebbe curvare così tanto
Quanto la tormenta di neve. Li avrete visti spesso
Carichi di neve un soleggiato dì d’inverno
Dopo la pioggia. Scricchiolano già da soli
Appena s’alza il vento, e si fanno variopinti
Quando un minimo movimento sconquassa il loro smalto.Presto il calore fa cadere i cristalli
Rovinando a valanga sulla coltre di neve –
Dinanzi a quei mucchietti di vetro rotto spazzati via
Penseresti che l’intima colonna del Cielo fosse caduta.
Sono trascinati dal peso sul suolo prosciugato,
ma sembrano non rompersi; e benché siano stati curvi
così mollemente per tanto tempo, non si raddrizzeranno:
potreste vedere i tronchi per anni ancora fare arco
nei boschi, lasciando penzolare le foglie a terra
come ragazze carponi a pettinarsi i capelli
prima di farli asciugare al sole.Ma vorrei dire che quando la Verità irrompe
A dire la sua sulla tempesta di neve, io preferirei
Avere un ragazzo dondolante fra di loro
Dopo aver fatto va e vieni per riprendere le bestie –
Un ragazzo lontano abbastanza dalla città per non
Aver imparato il baseball, il cui unico gioco
Fosse sempre con sé stesso, estate e inverno,
un ragazzo capace di giocare da solo.
Avrebbe domato ad uno ad uno gli alberi del padre
Come cavalcandoli più e più volte,
Per toglierne via la scontrosità,
nessuno lasciato a zoppicare,
nessuno abbandonato prima della conquista.
Imparerebbe che tutto quel che c’è da sapere è di
Non lasciarsi cadere giù troppo presto e di
Non spezzare il ramo torcendolo troppo verso terra.Avrebbe poi preso padronanza coi rami alti, usando
La medesima accortezza che usereste per riempire
Una tazza fino all’orlo, e poi fin sopra l’orlo.
Sarebbe scivolato sotto prima coi piedi, sibilando,
Creandosi a calci una via fra l’aria e il suolo.
“Anch’io un tempo amavo dondolarmi fra le betulle.
E così vorrei ancora tornare indietro a farlo.
Quando son stanco di considerare, e la vita
Mi pare troppo simile ad un bosco non segnato da
Sentieri, e la faccia t’arde e si solletica con le ragnatele
Strappate passandovi contro, e un occhio piange
Per una pagliuzza entrata dalle ciglia aperte.
Vorrei andar via dal Mondo seduta stante, e poi
Tornare, e cominciare da capo.Che il Destino non mi disconosca e almeno un poco
Mi conceda quel che voglio e non mi strappi di mano
La possibilità di ritornare. La terra è il giusto posto per amare:
non so affatto come potrebbe migliorare.
Vorrei andarmene scalando una betulla, e
Salire rami scuri lungo un tronco innevato, verso il cielo,
fin dove l’albero non potrebbe condurmi,
ma fosse pronto a piegare la cima e riportarmi giù.
Sarebbe bello andare ed al contempo ritornare.
Si potrebbe far di peggio che dondolarsi fra le betulle.”

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