Un pensiero di Vincenzo Agostini sul rapporto uomo e natura ha catturato la mia attenzione. Scrive Vincenzo:
Poche cose descrivono l’attuale idea di montagna come la narrazione degli incidenti mortali in montagna. Quando accadono, la montagna viene descritta come colei che “dà l’ultimo saluto”, come il luogo dove il morto, potendo scegliere, “desiderava davvero morire”, come quella brava madre che ha accolto la moritura in “un ultimo abbraccio”. In una nota e cantantissima canzone, la montagna sta addirittura fra l’umano e il divino, laddove un giorno dio chiede alla montagna di andare a prendersi un uomo – un altro amico -, solo che i viventi vorrebbero che quell’uomo dio lo lasciasse andare in paradiso – qui descritto come “le tue montagne” – dove vivrà per sempre. In tutte queste narrazioni la montagna è un essere vivente, una morale che accompagna il morto come essere sacrificale, togliendo alla dipartita il suo ineliminabile reale tragico e umano. Forse è per questo che la morte in montagna è ancora considerata una “bella morte”, forse è per questo che l’affrontare il tema degli incidenti in montagna spesso pare una irriverenza, un oltraggio a coloro che lassù sono morti per davvero. Tanto che vien da dire che, oltre al resto, lassù, anche lassù, oramai sia morta una certa idea di Uomo e di Natura. Forse anche di Dio.
Alcune considerazioni che sento profondamente mie e che ho già avuto modo di ribadire spesso in passato.
L’uomo ha deciso in autonomia che la vita è sacra e va difesa senza se e senza ma a qualunque costo. Benissimo, l’uomo però ha dimenticato che la morte è parte intrinseca della vita. Senza morte non ci sarebbe vita. La morte, in qualunque modo si presenti, ormai non è accettata nemmeno se a morire è un ultracentenario.
Forse in questo c’è qualcosa di profondamente sbagliato alla radice.
Ovviamente viviamo vite fantastiche rispetto anche solo a cinquanta anni fa, ma tutto questo “fantastico” ci ha fatto perdere il contatto con la nostra vera essenza. Siamo animali e come tali moriremo.
Però inevitabilmente ci sono morti e morti. Chi muore in montagna è soggetto a due grandi filoni di giudizio:
- se la è andata a cercare
- la montagna (o natura a seconda dei casi) assassina se lo è preso.
Nessuno osa invece sottolineare come prendere la decisione di uscire di casa ci espone al pericolo, posto che la casa sia un luogo sicuro, ma facciamo finta di sì.
Chiudere la porta ed uscire in strada è pericoloso, magari meno che lanciarsi con il paracadute o arrampicare una parete, ma rimane pur sempre pericoloso.
Per l’uomo di oggi è inaccettabile questa variabile “pericolosa”, tutto deve essere già predeterminato, dalla A alla Z.
E se qualcosa va male? Vedi l’elenco di prima.
Concordo quindi con Vincenzo, l’idea di un qualunque rapporto tra uomo e natura è morta da un pezzo.
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