C’è una cosa che ho definitivamente capito: in questo mondo non c’è spazio per nulla che non sia direttamente correlato alla produzione di una qualche forma di ricchezza.
Dico questo perché è ormai evidente come il modello politico/economico dominante ci abbia condotto in un tunnel dal quale è impossibile uscire per il semplice motivo che non vogliamo e non possiamo farlo.
Credo che se andiamo a spulciare le cronache di ogni parte del mondo, troveremo tanti esempi di come nel nome della salvaguardia del territorio, delle tradizioni, della cultura o di qualunque cosa vogliate salvaguardare, si commettono violenze inaudite di ogni tipo.
E’ evidente anche come nella scala dei valori che determinano le scelte che politici ed amministratori mettono in atto, al primo posto figuri sempre e comunque l’aspetto economico.
Con questa premessa si capisce come qualunque discorso indirizzato a favore ad esempio dell’ambiente, sia solo un’espediente per pulirsi la coscienza e mettere a tacere i soliti facinorosi.
Il termine moderno per questo è greenwashing.
Del resto si è da poco conclusa la COP26 e cosa è stato partorito se non il solito topolino?!
Dopo questa brevissima premessa, in settimana mi sono imbattuto in un post sul sito di Patagonia dal titolo “Born to Fight” che ruota proprio intorno a questo concetto di protezione e salvaguardia del territorio, della cultura e delle tradizioni.
L’articolo racconta la storia di Naelyn Pike, una giovane Chiricahua Apache che come milioni di altri giovani, ha a cuore la propria terra.

Qui però non si parla di terra in senso lato, ma del territorio sul quale da secoli la sua tribù ha fondato la sua esistenza, le sue tradizioni, la sua cultura.
Quello che forse non è chiaro è come questi tre aspetti (territorio, cultura e tradizioni) siano fortemente intrecciati e non possano esistere se presi singolarmente.
Questo trittico è il fondamento della storia di ognuno di noi e quando ad esempio il territorio viene meno o viene messo in discussione o viene modificato in maniera profonda ed irreparabile, si crea una frattura che col tempo diviene insanabile portando alla perdita in primis della propria identità.
Nello specifico Pike è impegnata in una lotta per difendere un luogo sacro della sua tribù dal diventare una miniera di rame.
“You must speak straight so that your words may go as sunlight into our hearts. Speak Americans … I will not lie to you; do not lie to me.”
Cochise, chief of the Chokonen band of the Chiricahua Apache
Ho letto con molto interesse questo articolo perché per una volta si parla di qualcosa di veramente concreto che se anche rimane lontanissimo dalle nostre latitudini, è un simbolo di come, in nome del progresso, del lavoro, della ricchezza, insomma in nome di qualunque cosa serva a giustificare determinate scelte, si vada sempre nella direzione di eliminare il passato in particolare se si tratta di minoranze.
Se facciamo attenzione ed analizziamo ad esempio quello che accade nel luogo dove viviamo, ci accorgeremo che molto più spesso di quello che pensiamo, viene applicato lo stesso modus operandi per qualsiasi questione.
C’è sempre un interesse che, contrariamente alla narrazione che ci viene propinata, non è mai quello del bene comune.
Ad esempio dove vivo io, dopo aver distrutto il territorio sul quale sono nato e cresciuto, dopo aver lasciato sfilare tra le maglie del tempo tante tradizioni delle quali ormai rimangono solo ricordi sbiaditi e foto in bianco e nero, oggi c’è ben poco su cui costruire una comunità.
Ecco che il mantra del “bene comune” viene in nostro soccorso e chi ci amministra ne fa buon uso per tentare di rinsaldare una comunità ormai allo sfacelo.
Ma il risultato non ha spessore, è solo di facciata perché mancano le fondamenta su cui una comunità nasce, cresce e si fortifica.
Mi sono chiesto quindi quali sono per me i luoghi sacri che voglio proteggere.
La risposta laconica che ho dato è stata NESSUNO.
Non ho nemmeno un luogo sacro per il quale sia disposto a lottare come Pike. Ho tanti luoghi che reputo importanti e che annualmente visito con rispetto e riverenza, ma per nessuno di essi sarei disposto ad impegnarmi per una sua difesa.
Questo mi ha fatto pensare, molto.
Mi sono chiesto quale sia la mia identità, quale la cultura a cui appartengo e che tradizioni porto avanti.
Non sono riuscito a trovare una risposta soddisfacente a queste domande.
Continuo a rimuginare su questa cosa e un pensiero che si è fatto strada è che in definitiva vivo una vita a metà. Combattuto tra l’appartenenza alla grande tribù del capitalismo da una parte e dalla grandissima necessità di recuperare un contatto con quel che rimane di un ambiente sempre più addomesticato.
I miei luoghi sacri sono le montagne, sono i boschi, sono i fiumi e i laghi. Sono le albe ed i tramonti.
Sono luoghi sacri senza una collocazione precisa. Sono luoghi sacri prima di tutto per la mia anima perché sono i luoghi che mi ricordano più che chi sono, cosa mi fa stare bene.
Credo che il grande peccato della nostra società sia stato quello di sradicarci dalla nostra storia a favore di un concetto di “connettività” globale che però ci lascia essenzialmente con l’amaro in bocca.
Mi sento profondamente intristito da questa presa di coscienza.
Leggi l'articolo originale Born to Fight Il sito della tribù Chiricahua Apache
Comment
[…] bisogno veramente di tante voci come Ingrid Weyland che pongano l’accento sulle problematiche ambientali a 360 […]