Finalmente mi sono deciso a risalire i calanchi. Ma non uno qualsiasi. No. Solo quello che io ho ribattezzato Zabriskie Point de noialtri.
Si tratta di una serie di calanchi che dall’alto della collina si protendono come dita di una mano verso il fondo valle.
Per anni ho scrutato le pieghe, gli avvallamenti, i punti di accesso nella speranza di idealizzare una salita.
Ma invece nessuna traccia ad indicare una via, non rimane che spingere dritto per dritto piantando gli stivali nell’argilla dura come il marmo.
I calanchi altro non sono che l’evidenza della caducità di questo mondo. Noi come loro, ci ostiniamo a resistere alle pieghe del tempo ma lui, inesorabile, consuma ogni superficie si erga anche di pochi centimetro dalla terra.
In questo non inverno, arido e senza anima, la terra è secca e dura come a luglio sotto il sole cocente.
La vegetazione pare quella di agosto. Erba bruciata, arbusti rinsecchiti in attesa della salvifica acqua che dal cielo non vuole saperne di scendere.
Salire non è agile. Le pendenze sono importanti e il sudore, nonostante sia copioso, nulla può contro la siccità.
Seguo una traccia di animali, loro sì che sanno come muoversi in questo lembo di terra dimenticato da tutti.
Un filo nello risale il profilo del calanco. Lo seguo come un cacciatore segue la preda. I polpacci bruciano. La gola è impastata.
Devo respirare e far riposare il cuore. Spiano il cavalletto e scatto qualche foto in attesa che il motore ritorni a regime.
La visuale è strana da questa parte della valle. E’ completamente nuova. Destabilizzante.
La pianura è sempre là in fondo, ma da questa prospettiva riserva la sorpresa di uno spiraglio nuovo.
Esco dal calanco nella speranza che il terreno spiani un poco. Nulla da fare.
Bisogna spingere e salire. Quasi 200 metri di dislivello partendo praticamente dal livello della battigia del mare Adriatico. Merda che fatica!
Di fronte a me un tripudio di colline verdi soverchiate da un cielo blu intenso. Il sole di febbraio senza nubi scalda la schiena ed il cuore.
Intorno a me solo morte e secchezza.
E’ il tempo che sfugge e non ce ne rendiamo conto. Due vecchie abitazioni ormai diroccate, un lago da irrigazione irrimediabilmente arido, una vecchia carrareccia che si perde nella storia di questi solchi in cui affondo gli stivali.
Chi ha avuto l’ardire anche solo di concepire l’idea di poter abitare in questo luogo?
Vorrei saperlo. Vorrei conoscere la sua o loro storia.
Il sole si sta tuffando dietro le colline. Il castello di Montegibbio pare ardere nel tripudio del tramonto.
Temo sia ora di scendere, ma non temere Zabriskie Point ho solo iniziato la tua esplorazione.
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