Giunto alla sua dodicesima edizione il Cortona on the move non ha certo bisogno di presentazioni.
Nelle scorse settimane abbiamo avuto modo di visitare tutte le mostre in programma e di quanto visto mi preme sottolineare alcuni lavori che hanno catturato la mia attenzione.
Ma prima di tutto riassumiamo il tema di questo 2022: Me, Myself and Eye, ovvero Il punto di vista in fotografia direttamente dalle parole del Direttore artistico, Paolo Woods, così come presenti nel sito ufficiale:
“Cosa succede esattamente quando fotografiamo? La fotografia è un’arma o un faro illuminante? Chi ha il diritto di fotografare cosa? Il consenso di chi è fotografato è d’obbligo? Stiamo ancora fotografando finestre o siamo solo persi in una gigantesca sala degli specchi rimirandoci all’infinito? Sono questioni discusse da decenni e intrinseche alla natura del mezzo ma che sono recentemente riemerse con nuovo vigore sospinte dalla battaglia identitaria che ci ha inghiottito. La presa di coscienza che sia urgente riconsiderare come siano rappresentate etnia, genere e classe sta sconvolgendo vecchie regole non scritte e scrivendone di nuove.
In questo momento cruciale, in cui la fotografia è più presente che mai, assurta a linguaggio universale, prodotta, condivisa e consumata in maniera ossessiva, Cortona On The Move vuole riflettere su autorialità, punto di vista e legittimità. Su come soggetto e oggetto si intersecano, si scontrano e finiscono col coesistere.
“Me, Myself and Eye” è il tema del festival per l’edizione 2022, dove la fotografia ricerca la sua anima senza sfuggire al dibattito ma sempre aspirando al poetico. Esplorando i limiti estremi del mezzo come audaci astronauti e le storie sepolte come meticolosi archeologi.“
Il mio punto di vista in fotografia su quele mostre che hanno avuto la capacità di muovermi o lasciarmi qualcosa su cui riflettere è il seguente:
Nicolò Filippo Rosso: Exodus

Probabilmente la mostra che mi è piaciuta di più. Nonostante l’argomento sia ormai trito e ritrito da ogni parte del mondo, l’approcciò ed il punto di vista di Nicolò mi hanno catturato.
Emerge in maniera forte quanto il fotografo abbia vissuto questo reportage, quanto abbia messo in gioco se stesso e la propria vita. Ho apprezzato tantissimo la sua capacità di “scendere in strada” e seguire il proprio soggetto. Non attesa ma azione.
Questo progetto ha il sapere dei vecchi reportage di quando ancora si faceva un certo tipo di fotografia.
Jessica Auer: The Falcon’s Garden

Idea attualissima quella di documentare la relazione, ormai sbilanciatissima, tra uomo e paesaggio. Come spessissimo ho ripetuto in questi ultimi anni, l’elevazione di alcuni luoghi a simboli assoluti di un paesaggio, di una zona, di un nazione sta portando alla devastazione dei luoghi stessi da una parte mentre dall’altra ad una trascuratezza inspiegabile di territori che invece avrebbero tanto da raccontare.
Il risultato è un impoverimento generale, sia di noi genere umano, sia del territorio.
Tornando alla mostra, belle le stampe grandi, ma male, molto male, la selezione presentata. Sinceramente un progetto di questo tipo non può presentare fotografie prese da solo 2 location, la cui stragrande maggioranza realizzate in Islanda.
In un contesto come quello del COTM mi sarei aspettato una selezione per lo meno più varia dei luoghi, perchè è solo in questo modo, mostrando la globalità del problema, che si mostra l’effettiva portata delle nostre impronte.
Tomeu Coll: Badlands

Il primo impatto con questa mostra è stato esaltante! Ahimè è durato solo qualche minuto, infatti, terminata la visita, mi sono chiesto di cosa si stava parlando.
Le fotografie presenti appaiono slegate tra loro impossibilitate a formare un racconto compiuto.
E’ come se il fotografo avesse scelto a caso delle immagini da “appende al muro” senza un filo conduttore.
Il soggetto è estremamente interessante, lo si deduce anche andando ad approfondire sul sito di Coll nel quale si può vedere una selezione decisamente più ampia, peccato che come per altre mostre il materiale presentato non sia stato sufficiente a rendere la visita soddisfacente.
Stacy Kranitz: As it was Give(n) to Me

Ho apprezzato tantissimo questo progetto perchè nel mio immaginario alla voce Appalachi non sono mai stato in grado di visualizzare immagini se non di paesaggi incontaminati, foreste, e il famosissimo Appalachian Trail.
Invece scopro che c’è molto altro sotto la superficie idilliaca a cui ero abituato. Come spesso accade in molte parti del mondo, andando a scavare e volgendo lo sguardo oltre lo scontato e l’evidente, prende forma un mondo che si muove all’interno delle stesso spazio ma che di quello spazio condivide con l’osservatore solo un nome su di una mappa.
Jacob Holdt: American Pictures – I Just Do Things

La forza di questa mostra è il contenuto mostrato. Uno spaccato degli Stati Uniti che nessuno vi mostrerà mai volontariamente.
E’ un po’ come quando parli con qualcuno di New York e ti dice, New york è una cosa gli Stati Uniti un’altra.
Ecco qui stiamo parlando di tutto il resto, degli Stati Uniti quelli veri, quelli che sudano, quelli che lavorano, quelli che muoiono di fame in uno streaming di immagini spesso tecnicamente discutibili ma che hanno il grandissimo pregio di colpilrti con un pugno allo stomaco ad ogni fotografia.
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