Un muretto a secco a delimitare un mondo che si perde nei ricordi di qualche vecchio che ancora tiene duro e si aggrappa alla vita come una bandiera strattonata dal vento non vuole lasciare la sua asta.
Vecchi che però sono difficili da trovare e ancora di più da capire.
Rimangono solo le tracce di soglie ormai sfondate da tronchi caduti.
Rimangono impronte di ombre annerite dalla fuliggine.
Rimangono echi di passi attutiti dalle foglie cadute.
Tutto questo nel silenzio di un paesaggio decorato da un leggero strato di zucchero a velo. Quel tanto che basta per delineare linee e forme. Per dare quella mano di bianco che non è troppo ma nemmeno troppo poco.
Per restituire quel senso di precarietà che sempre più spesso scappiamo con tutte le nostre forze.
Ecco il cuore di una domenica dopo una leggera spruzzata di neve appunto zucchero a velo.
Le nubi quasi primaverili si ammassano sul crinale. Il freddo pungente del sotto zero. Il rumore degli scarponi attutito dalla neve.
Torno nel regno del passato per assaporare ancora una volta un mondo che non ho conosciuto, ma che da queste latitudini, appare molto più autentico di quello nel quale vivo oggi.
Un mondo nel quale la lentezza era il collante quotidiano di parole, pensieri ed azioni.
Un mondo nel quale il fuoco era il centro della vita.
Quando ormai il freddo accumulato è troppo per essere sopportato, rientro tra le quattro mura di casa. Al caldo di una coperta di lana con la gatta accoccolata sulle gambe a ronfare.
Comoda questa vita fatta di stenti emotivi.
La maliconia di questi paesaggi post autunno e pre inverno è racchiusa tutta qui, in questo freddo e marcio sentire di foglie che si decompongono, di aliti gelidi, di silenzi incombenti.
Sento profondamente un richiamo a resistere. Ad aggrapparmi al mio bastone. A volgere la schiena contro il vento cercando un riparo.
L’inverno è alle porte.
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