E’ passato qualche giorno dal termine della prima Masterclass di bianco e nero tenuta da Alberto Bregani nella splendida cornice di Madonna di Campiglio e mi sembra doveroso tracciare un riassunto dei 6 giorni di scuola intensissimi che ho vissuto.
Innanzitutto credo che un doveroso ringraziamento vada espresso non solo nei confronti di Alberto, che nei mesi scorsi si è prodigato per garantire un’organizzazione pressoché perfetta, ma anche agli ospiti che ci hanno accompagnato nelle serate e nelle uscite giornaliere e che non si sono mai risparmiati nei nostri confronti.
Voglio qui ricordare Paolo Bisti, fotografo storico di Madonna di Campiglio, Stefano Zardini, figura di spicco del reportage anni ’80 e ’90 ed oggi esponente di primo piano nel panorama fotografico italiano ed internazionale, Mirko Sotgiu, alpinista e fotografo attualmente il punto di riferimento per la fotografia editoriale di montagna ed ultimo, ma non meno importante, Cesare Martinato, già fotografo, disegnatore, amante della montagna ma sopratutto uomo di una cultura strepitosa.
Cosa porto a casa da questa settimana? Innanzitutto la consapevolezza che fotografare il paesaggio non si improvvisa. Serve non solo preparazione tecnica e logistica, ma serve anche e sopratutto una visione di ciò che si vuole raccontare e come lo si vuole fare. Trovare un proprio linguaggio fotografico, la famosa “cifra fotografica” tanto cara ad Alberto, è una delle condizioni sine qua non per potersi distinguere, che non significa per forza emergere sopra gli altri, ma più semplicemente avere una linea uniforme nelle proprie immagini e quindi essere riconoscibili per il lavoro che si produce.
Un altro aspetto molto importante sul quale ritorno fortemente rafforzato riguarda la documentazione del paesaggio così come appare al momento dello scatto. Ho riflettuto molto sul lavoro di Zardini arrivando alla conclusione che non può essere il mio approccio all’ambiente in generale ed al paesaggio montano in particolare. Non che mi manchi la fantasia, ma ritengo che il lato documentaristico della fotografia prevalga su quello prettamente artistico.
E adesso?
Beh l’impegno che mi sono dato si sviluppa su due fronti. Il primo riguarda l’aspetto compositivo sul quale devo intervenire per riequilibrare gli elementi presenti nell’inquadratura, equilibrio che spesso invece tendo a rompere anche quando non ce né bisogno.
Il secondo riguarda invece il processo di post produzione, sul quale intendo approfondire tutte quelle fasi che portano alla preparazione di un file per la stampa fine-art. Uno degli obiettivi infatti di quest’anno è quello di aprire lo shop per le stampe fine-art.
Chiudo sottolineando come in quest’epoca, nella quale il social impera e spadroneggia, partecipare ad un workshop senza che sia previsto l’ormai famoso gruppo chiuso su Facebook, è un privilegio ed un vanto di qualità. Perché i Mountain Photographers alla fine ci mettono la faccia, le gambe e la propria esperienza dal vivo e non virtuali. Perché condivisione significa crescita per tutti.
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