Venerdì scorso nell’ambito degli appuntamenti virtuali di questo periodo, ho ascoltato l’evento dal titolo “Ingannare il tempo, il disegno come strumento per migliorare la fotografia” tenuto dall’amico Cesare Martinato in collaborazione con Alberto Bregani e Mirko Sotgiu.
Come sempre Cesare è una fucina di sapere ed ascoltarlo non è mai noioso anzi si ha sempre l’occasione di portare a casa “qualcosa“. Anche questa volta è stato così. In verità ho portato a casa alcuni concetti, non propriamente legati al disegno, che ho colto come fondanti nella fotografia di paesaggio e che si legano a doppia mandata ad alcuni post che ho scritto in questi ultimi mesi.
Il post di oggi parte da questa affermazione di Cesare: “Veniamo sbalzati dalla nostra scrivania a quota zero ad un ambiente, tra virgolette, alieno […]; abbiamo bisogno di un tempo per riallinearci con questo ambiente…“
Abbiamo bisogno di un tempo per riallinearci con questo ambiente.
Questa frase è semplice poesia. Cogliete anche voi l’importanza di questa affermazione?
Ora provo a spiegarvi perché questo semplicissimo concetto è indispensabile per poter raccontare un paesaggio.
Vorrei innanzitutto partire dal fatto che per poter raccontare un paesaggio, qualsiasi paesaggio, è necessario conoscerlo. E’ necessario farsi condizionare da questo paesaggio, assorbire quello che il paesaggio ci sta comunicando. Serve quindi una predisposizione per poter instaurare una sorta di sintonia con l’ambiente con cui ci stiamo relazionando.
Perché una relazione c’è sempre, anche se noi non la percepiamo, si tratta solo di permetterle di emergenze dal nostro subconscio, dal nostro sentire, dal nostro sperimentare.
Ma per poter fare ciò, è necessario concederci la giusta quantità di tempo affinché questa relazione si manifesti. E’ proprio il tempo il nostro primo alleato in questo rapporto con l’ambiente. Più tempo investiremo in questa relazione e più proficuo sarà lo scambio esperienziale.
Ora, per conoscere l’ambiente nel quale ci troviamo, possiamo operare in modi diversi. Potremmo ad esempio starcene seduti per ore o per giorni sempre nello stesso posto ed assorbire tutto quello che il nostro occhio percepisce nell’arco della sua capacità visiva, potremmo sperimentare le varie sensazioni che in questo specifico luogo sentiamo sul nostro corpo (temperatura, vento, pioggia, ecc.). Potremmo quindi avvicinarci a comprendere le dinamiche di quel piccolo spazio che ci circonda.
Ma cosa succede se invece che volerci sedere su di una panchina a bordo strada, volessimo recarci su quel pianoro che intravediamo appena sotto le pareti a strapiombo della montagna che ci sovrastra?
Se ci fosse una strada potremmo arrivarci direttamente in macchina. Se ci fosse un impianto di risalita il gioco sarebbe fatto comodamente seduti in seggiovia, se avessimo un elicottero potremmo farci scendere direttamente nel punto esatto che abbiamo studiano da basso.
Ma così facendo, che tipo di esperienza faremmo in relazione all’ambiente che vogliamo raccontare? Come minimo avremo una percezione limitata e viziata da una visione parziale dell’ambiente.
In definitiva ci siamo persi buona parte dell’esperienza che avremmo fatto se per raggiungere questo luogo avessimo camminato.
Ecco quindi che lo spazio che ci separa dal luogo che abbiamo eletto come punto di ripresa, di osservazione, o di arrivo di una camminata determina, in relazione al tempo che impieghiamo per colmare quello spazio, la percezione che ci costruiamo del luogo stesso.
Nessuno impone che per il raggiungimento di un luogo si debba sempre e solo scegliere la via più lunga o faticosa, ma viene da se che seguendo la via più breve ci si lascia qualcosa alle spalle che difficilmente si riesce a poi a colmare in seguito.
Ed ecco perché in estrema sintesi la famosa frase di Eliot trova un suo perché: “Quello che conta è il percorso e non l’arrivo“.
Concedetevi quindi il tempo per guardarvi intorno e lasciate che l’ambiente penetri dentro di voi.
Concludo proponendovi l’intervento di Cesare per chi volesse rivederlo su YouTube.
Comment
[…] Ne deriva che per avere tutta questa conoscenza serve tempo. […]