La riflessione sulla media montagna deve per forza partire dalla sua definizione o, per meglio dire, dalla sua non definizione. Infatti si distinguono essenzialmente 3 fasce legate ai rilievi, la collina fino a 600 metri, la bassa montagna dai 600 ai 1500 metri, l’altra montagna sopra i 1500 metri.
Per comodità quindi si procede ad equiparare la media alla bassa montagna o più in generale alla fascia che si sviluppa tra i 900 ed i 1500 metri di altitudine. E’ questa la fascia nella quale nei secoli scorsi l’uomo si è dapprima avventurato per poi conquistare ed infine arroccare fino ai pendii più irti ed alle zone più impervie, dimostrando una volta ancora la sua incredibile capacità adattativa all’ambiente.
Prati, boschi, torrenti. Il campionario delle risorse naturali che l’uomo ha da sempre saputo sfruttare se non addomesticare hanno di fatto con il tempo antropizzato vaste aree ad esempio dell’arco alpino, creando spesso le condizioni utili alla formazione dapprima di isolati agglomerati di abitazioni, poi ove possibile a piccoli centri urbani in un concetto di tempo/evoluzione se vogliamo adeguato quanto meno allo scorrere del tempo naturale. Paradossalmente questa situazione si è protratta per un lunghissimo periodo mantenendo una curva di crescita compatibile con quello che è l’ambiente nel quale ogni specifica comunità si stava sviluppando.

Potremmo definire come spartiacque il secondo dopo guerra ed il conseguente boom economico e di crescita degli anni ’60 del novecento a seguito del quale cambiano i modelli economici, cambiano le aspettative sociali, si creano i presupposti per uno scontro generazionale importante in un ambiente che storicamente era caratterizzato da un’approccio piuttosto rigido verso i cambiamenti.Le nuove opportunità di business offerte principalmente dal turismo unite ad una spinta ad andare oltre la semplice accettazione della propria situazione per ricercare un miglioramento della propria condizione sociale ed economica, determinano, in un lasso di tempo brevissimo, il tipico fenomeno dello spopolamento delle periferie, in questo caso dei masi, dei piccoli centri isolati, ecc., per uno spostamento verso i centri urbani. Una sorta di “dalla campagna alle città” in versione alpina.Il turismo, sopratutto quello invernale, scava in profondità nei cuori e nei portafogli. Si costruiscono gli impianti di risalita, si attrezzano le piste, si sviluppano tutte quelle attività necessarie per soddisfare le esigenze pre/durante/post ad esempio dello sci.
Ma la società, così come il pianeta, cambiano. La ricchezza si fa più distribuita, la popolazione cresce senza soluzione di continuità, le aspettative e le richieste di conseguenza. Di contro il pianeta fa i capricci, la materia prima del turismo invernale lentamente si fa più latitante e le cure, o le soluzioni, dell’uomo non si fanno attendere. Si deturpa, si scava, si addomestica, in virtù di una ricchezza sulla carta della quale è evidente che non se ne può più fare a meno. Per lo meno per chi vive e lavora nell’arco alpino. La quota neve media si alza, si costruiscono nuovi impianti, si diversifica, si sviluppa l’indotto, si cerca in ogni modo di accaparrarsi quel turista tipo pronto ad aprire il proprio portafogli e sostenere quindi l’economia locale. Ma la società evolve, forse troppo in fretta, forse in direzioni inaspettate e non volute. E’ necessario imporre il proprio modello di business per evitare di perdere quote di mercato, si porta quindi con incoscienza, o forse no, la città in montagna. Assistiamo quindi ad un’inversione di tendenza, non tanto nelle persone che vi abitano, ma nel concetto delle aspettative che una persona è normalmente abituata a soddisfare nel proprio ambiente naturale, la città. L’uomo, o la sua essenza, si sposta dalla città alla montagna. E qui avviene il disastro.

Il modello “apericena” si impone senza colpo ferire per il semplice motivo che il numero di potenziali clienti che rispondono a questo modello sono in proporzione decisamente molti di più rispetto al modello “spartano” del turista montagna tipico.
Come sempre però l’incapacità dell’uomo, in questo caso potremmo dire anche dell’imprenditore, di guardare oltre il quotidiano o se proprio vogliamo, il domani prossimo venturo, non ha tenuto conto che il richiamo dell’apericena non può essere confinato ad un esercizio commerciale, ad una zona circoscritta o a qualunque altra modalità di contenimento. Chi risponde a questo modello, come del resto a qualunque modello, ha delle esigenze che non si esauriscono con un semplice evento a fine giornata, ma si protraggono nell’arco delle 24 ore per tutta la durata del suo soggiorno.
E’ facile capire come chi di quel modello non era propriamente favorevole, si veda comunque costretto a scendere a patti. Patti che uno volta toccato il portafoglio gonfio si accettano più serenamente. Ma questo fantastico modello apericena ha alcune falle intrinseche che fondamentalmente si possono riassumere in due grande categorie: da una parte i bisogni, dall’altra i comportamenti.
Se per rispondere ai bisogni grossi problemi non ci sono, per gestire i comportamenti è tutta un’altra musica. Non si può ovviamente bacchettare il turista apericena per il suo modus vivendi, si è fatto di tutto per attirarlo ora non lo si può certo liquidare malamente. La legge universale del “il cliente ha sempre ragione” mette in luce come una volta di più si sia fatto il passo più lungo della gamba.

Ed eccoci quindi al nodo caldo della questione. Come è possibile convivere con questo nuovo modello di turismo e di turista?
Me lo chiedo come turista che frequenta abitualmente le Dolomiti, con delle esigenze e delle aspettative diametralmente opposte a quella che è oggi la proposta del territorio montano.
Chi come me vive la montagna ricercando un certo tipo di benessere, un certo tipo di rapporto, non solo con la natura, ma anche con chi la vive abitualmente si vede costretto in un angolo, in recinto ogni anno più stretto. Perché ad oggi l’unica risposta all’invasione dilagante non è stata il “facciamo cultura“, ma è stato il “divieto“.
Come è possibile pensare che senza fare cultura della montagna in generale, e della media montagna in particolare, sia possibile raggiungere un equilibrio tra uomo e natura?
Dove sono finiti i valori che hanno portato migliaia di persone a sudare lungo i sentieri, a scambiarsi un saluto ad ogni incontro, a godere pacatamente del lusso di essere in determinati posti?
Mi sento una specie in via di estinzione e come tale lentamente mi sto ritirando nella “riserva” che mi è stata debitamente preparata.
2 Comments
[…] quella montana, attraverso un modello di consumo prettamente cittadino. Mi spiace lor signori ma questo approccio non solo non funzionerà, ma distruggerà quel poco di ambiente e di cultura che an…più o meno intonso nel territorio […]
[…] con un malessere generale verso le nuove orde di frequentatori, mi riferisco ovviamente alla montagna, ambiente a quale sono visceralmente […]