Che cos’è il valore della fatica? Fin da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato che se volevo qualcosa, qualunque cosa, dovevo impegnarmi a fondo per conquistarla perché fondamentalmente niente e nessuno mi avrebbe regalato quello che volevo.
Questa regola vale ovviamente in ogni aspetto della nostra vita, dal lavoro allo sport, dal conto in banca al numero degli amici, ecc.
A questo si aggiunge però il plus che quanto è più difficile raggiungere il traguardo, quanto più soddisfacente sarà la riuscita.
Con queste premesse mi ritrovo ad aver passato i 40 anni assediato da ogni dove da una filosofia diametralmente opposta. Da un lato vedo che chi postula esige sempre di più il “subito e poco costoso“, dall’altra le nuove generazioni crescono con il “tutto dovuto“.
Solo io vedo una contraddizione nei termini?
Ma senza volermi cimentare in analisi sociologiche o quant’altro, vorrei soffermarmi su quell’ambiente che per natura impone un sacrificio ed uno sforzo: la montagna.

Ricordo benissimo che fino all’altro giorno quando venivo portato in montagna dai miei genitori, o nei campeggi estivi, il leitmotiv che si arrovella nella mia testa era un costante lamento per la fatica, per il tempo, per il caldo… Insomma mi lamentavo di continuo dimenticandomi di godere di quello che stavo facendo e dove lo stavo facendo.
Personalmente il pensiero fisso che continuamente mi frullava nella mente era “ma chi me lo ha fatto fare!“, questo indipendentemente da che avessi organizzato io l’uscita o altri.
Ci ho impiegato anni ed un lungo cammino costellato di tappe dolorose per raggiungere quella consapevolezza che quella fatica fosse alla fine indispensabile per poter dare un senso più compiuto a quello che stavo facendo. Quando ho realizzato che il valore della fatica avrebbe dato un qualcosa in più alle mie uscite, ho smesso inconsapevolmente di lamentarmi ad ogni passo fatto in salita.
hai la consapevolezza di chi sei e di cosa puoi fare
Oggi mi guardo intorno e con amarezza noto come questo concetto del guadagnarsi qualcosa, stia velocemente scomparendo. La società del tutto e subito ha imposto un cambio radicale nella fruizione della montagna. Ricordo che solo 30 anni fa trovare un impianto di risalita durante la stagione estiva non era così scontato, spesso infatti a fine inverno gli impianti venivano chiusi fino all’inizio della stagione successiva.
Oggi, le decine di impianti presenti ovunque, trasportano migliaia di persone dai fondovalle in quota, regalando quella falsa idea di semplicità e facilità tipica del mondo meccanizzato. Quell’idea del “tanto c’è l’impianto” che instilla di rimando l’idea che si possa affrontare con superficialità una giornata in montagna. L’idea del “ma sì al massimo facciamo una passeggiata intorno al rifugio” porta in quota un fiume di persone impreparato all’ambiente e spesso senza il minimo di attrezzatura (portatevi almeno gli scarponi).
Le testimonianze, ad esempio della scorsa estate, sono esemplari per descrivere nel concreto il problema che velocemente si fa diffondendo nella montagna italiana.
Quando invece il motore della tua salita sono le tue gambe, ed i piloni degli impianti sono la tua schiena, allora prima di partire pensi! Pensi a dove stai andando, pensi a cosa ti possa servire e a cosa puoi lasciare a casa. Il solo fatto di pensare e ti porti delle domande ti pone in difetto e quindi più attento.

Non solo, ma quando raggiungi il tuo obiettivo, che non necessariamente deve essere la cima di una montagna, capisci fino in fondo il valore della fatica. Capisci che ti sei guadagnato con le tue forze quello per cui ti eri prefissato di raggiungere. La soddisfazione di vivere questa consapevolezza non ha eguali.
In in un unico concetto: hai la consapevolezza di chi sei e di cosa puoi fare.
Per chi fa fotografia come noi e cerca di raccontare il paesaggio con un proprio punto di vista e con una propria visione, il valore della fatica fa parte integrante del processo fotografico. Non si può pretendere di raccontare qualcosa di diverso se si continua a frequentare gli stessi luoghi nella stessa maniera. A chi si pone con un minimo di senso critico rispetto alla fotografia di paesaggio apparirà chiaro questo appiattimento verso il basso della proposta di immagini. Il gran numero di fotografi che si accontentano dei 10 metri che separano il parcheggio della propria auto dalle sponde di un lago o della panca appena dietro l’angolo dell’impianto di risalita, creano un main stream di alcuni luoghi che gioco forza vengono eletti a rappresentazione unica di quel luogo.
Il più delle volte basterebbe girarsi dalla parte opposta per ottenere un’immagine altrettanto interessante, ma ahimè fuori dal coro e quindi relegata ai margini del main stream.
Interpretare un luogo costa fatica.
Incamminarsi lungo un sentiero costa fatica.
Prendere decisioni costa fatica.
Siate coraggiosi, armatevi di cartina, zaino e scarponi, ed esplorate quello che sta intorno a voi, scoprirete un mondo inaspettato e sarete abbondantemente ripagati delle vostre fatiche.
3 Comments
[…] a mente fredda ripenso a quello che è stato ed alle sensazioni provate. Ripenso al post che scrissi qualche settimana fa sul valore della fatica. Penso che mai come questa volta negli ultimi anni si è trattato di una prova di forza prima di […]
[…] Già in passato avevo scritto di questo argomento proprio perché ogni anno che passa gli episodi, anche non gravi, di singoli o comitive che rimangono vittime di incidenti o necessitano assistenza per rientrare, sono in aumento. L’idea che uscire in ambiente sia come un qualsiasi altro bene di consumo e che per questo sia per tutti è una grande panzana del nostro tempo. […]
[…] Ed è proprio la fatica l’unità di misura che determina il limite di ognuno di noi. […]