Cosa accade quando inizi un libro senza sapere nulla dello scrittore e della sua storia e scopri una sintonia di intenti ed un piacere atavico nella lettura del suo scritto?
Semplicemente che non puoi fare a meno di addentrarti nella lettura perdendoti nelle pagine del suo libro.
In estrema sintesi potrebbe essere questo il succo di questo libro.
Ma andiamo un po’ più nel dettaglio.
Innanzitutto voglio soffermarmi sul sottotitolo, “un elogio del camminare”, perché sento che è proprio questo il filo conduttore di questa opera che fa dell’atto del camminare il vero mantra di vita dell’autore. Poco importa che si cammini in un bosco o in cima ad una montagna, in una brughiera o in una palude, la vera essenza è quella del camminare, la vera azione rivoluzionaria è quella di uscire di casa e compiere questo gesto ancestrale che ci accompagna dalla notte dei tempi.
Questo tripudio del camminare emerge in maniera estremamente forte e chiara dalle pagine di questo libro, è la maniera più efficace per riappropriarsi da parte dell’uomo di una dimensione più umana e più vicina all’ambiente nel quale vive. Ritengo infatti che l’abbandono sempre più diffuso dell’atto del camminare ha contribuito in maniera essenziale alla perdita di contatto con la Natura in senso lato. Bisogna quindi raccontare del camminare e riportare alla luce questa pratica.
Possiamo farlo prima di tutto partendo da noi stessi e, per chi ne ha le capacità, anche di raccontarne.
MacFarlane mi ha sorpreso in una maniera che a fatica riesco a spiegare a parole. Ho scoperto una poesia ed una dolcezza nelle sue parole che raramente ho incontrato.
Mi sono ritrovato a camminare insieme a lui ed ai suoi compagni in luoghi sconosciuti, ho ascoltato il verso di animali, mi sono dissetato con acqua di fonte, mi sono riscaldato con le fiamme di un fuoco.
Era là anche io.
Perché dico questo? Ho ragionato su questa immedesimazione che non vivevo da diverso tempo, chiedendomi come mai e quali fossero in fin dei conti le motivazioni che giustificassero un coinvolgimento di questo tipo e sono arrivato alla conclusione, molto banale, che è il contesto che fa la differenza in questo libro.
Le antiche vie si intitola il libro, ma cosa sta dietro a questo antiche vie? Un messaggio per me chiarissimo ovvero che per vivere le proprie avventure non è necessario imbarcarsi in imprese epiche all’altro capo del mondo, l’inaspettato è appena fuori dalla porta di casa. La vera impresa epica è quella di alzarsi dal divano, calzare gli scarponi ed uscire dalla porta di casa.
Riprendo un concetto a me molto caro che ho appreso da Alastair Humphreys ovvero quello della micro avventura (micro adventures in inglese) che altro non è se non un’avventura semplice, vicino a casa, poco costosa e corta. Queste sono le parole chiave di una decrescita felice del vivere a contatto con l’ambiente che ci circonda in contrapposizione alla filosofia imperante dell’eccezionale e dell’epico.
Una decrescita in grado di riportarci con i piedi per terra, una decrescita in grado di ridimensionarci in questa nostra assurda convinzione di essere il centro dell’universo.
E’ solo grazie al contatto con questa terra, calpestandola, vivendola, respirandola che siamo in grado di capire chi siamo e da dove veniamo. Sul dove stiamo andando, beh calzate gli scarponi ed uscite di casa.
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