Oggi voglio riprendere un concetto che Paolo Costa ha espresso nel suo libro “L’arte dell’essenziale” a proposito del concetto di vettore.
Riporto di seguito il passaggio incriminato:
Nell’immaginario comune i monti sono fatti a forma di cono e se a un bambino chiediamo di disegnarci una montagna, nel caso migliore ci traccerà il profilo di una vetta che ricorda il Cervino, il K2 o il monte Fitz Roy: tre linee quasi verticali che convergono su una sommità talmente appuntita da sembrare un chiodo conficcato nel firmamento.
In montagna quello è il punto di fuga naturale e simbolico: il vettore, la freccia, che indica la direzione di marcia. Persino le conifere che dominano il bosco sembrano tracce o trascrizioni vegetali di quella vettorialità che riconduce il pensiero sempre negli stessi binari inclinati.
Quando ho letto per la prima volta questo passaggio, ho subito pensato all’immaginario piano inclinato della montagna come al vettore menzionato da Costa.
Col passare dei mesi mi sono accorto però che questo concetto di vettore è ben più ampio e profondo.
Posso dire che la comparsa, quasi dirompente, di questo elemento nel mio immaginario ha progressivamente occupato sempre più spazio.
Prendiamo ad esempio una delle defizioni di vettore:
In matematica e in fisica, ente che permette di descrivere le grandezze che sono caratterizzate, oltre che da una intensità, cioè da un valore numerico, anche da un orientamento, cioè da una direzione e da un verso (grandezze vettoriali, quali le forze, le velocità, le accelerazioni, in contrapp. alle grandezze scalari che, come la temperatura, sono individuate dal solo valore numerico);
Oggi questo vettore, o l’idea che questo si porta dietro, si è espansa e non rappresenta più il piano inclinato di un monte ideale, ma rappresenta una direzione.
Nello specifico rappresenta la direzione del mio sguardo: in alto; e del mio movimento: in avanti.
Confesso che la presenza di questo elemento “vettoriale” ha contribuito a calmare il mio spirito, è come se adesso avessi la conferma, o la consapevolezza, di dove devo guardare.
E’ un po’ come dirsi: “ok è finita la ricerca a 360 gradi, ora inizia la ricerca specifica“.
Mi piace pensare alla classica immagine del braccio teso con l’indice che punta in una direzione ad indicare dove devi guardare. Se ci penso bene, ogni volta provo a seguire la direzione di quell’indice non riesco mai ad individuare il soggetto indicato.
Il motivo è molto semplice, non sono io ad indicare e quindi non sono io a guardare quella direzione.
Ecco, il vettore che fuoriesce da me punta proprio in quella direzione, la direzione del monte, la direzione di quell’indice immaginario della mia mano destra.
E’ l’indice che ogni volta preme il bottone della macchina fotografica, è l’indice che segue la traccia di sentiero sulla cartina.
Tutto questo ha qualcosa di rassicurante non trovi?
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