In tempi di lockdown va bene tutto, anzi ci si fa andare bene tutto.
Complice l’impossibilità di muoversi al di fuori del comune, mi sono visto costretto nelle ultime settimane a cercare qualche stimolo sul territorio comunale.
Impresa piuttosto difficile dato che, abituato come sono a luoghi non voglio dire selvaggi, ma almeno a basso impatto antropico, il mio comune a dispetto della facciata, ha ben poco da offrire da un punto di vista naturalistico.
L’unico angolo degno di questo nome dovrebbe essere l’oasi del Colombarone, una zona di circa 50 ettari stretta tra il fiume Secchia, le cave di ghiaia di Magreta, la pista di automobili e l’aeroporto di Marzaglia.
Non proprio la compagnia migliore. In futuro, forse, anche lo splendido progetto della bretella autostradale, ma di questo ormai si perdono le tracce nei libri di Nostradamus.
Torniamo a noi. Preso dalla disperazione, decido di dedicare un sabato mattina all’esplorazione di questa zona nella quale non ero mai stato.
Lasciata l’auto nel parcheggio limitrofo alla zona naturalistica, mi incammino e dopo pochi metri sono già dentro l’oasi. Nella fattispecie una pozza di acqua difficilmente avvicinabile data la presenza di arbusti e soprattutto l’assenza di un sentiero che possa portare a riva.

Lentamente scendo il pendio che porta all’acqua facendomi strada tra la vegetazione, di per se non ha molto da offrire questo angolo dell’oasi, ma con le scarpe adatta reputo che qualche bella immagine si potrebbe fare.
Lascio quindi l’acquitrino e mi incammino verso nord, seguendo la strada sterrata che costeggia il fianco destro del Secchia. Il paradiso dei ciclisti.
Dopo poco mi imbatto in una radura estremamente interessante. Mi addentro e studio un po’ gli alberi. In lontananza si intravede uno specchio d’acqua. Tecnicamente non credo sia permesso l’accesso in questa area, ma credo che tornerò perché questo angolo merita di essere fotografato.

Continuo la mia camminata fino ad imbattermi in una deviazione segnalata da cartello che indica un sentiero tematico. Mi ci butto a capofitto. Capisco subito però che questo sentiero tematico è solo un lontano ricordo di quello che probabilmente era l’idea originale. Le tabelle informative sono praticamente illeggibili. Il tempo e le intemperie hanno fatto il loro lavoro, ma l’uomo non il suo.
Intravedo una piccola apertura che butta direttamente nel fiume con un salto piuttosto alto. Nessun avvertimento, nessuna protezione. Solo un ulivo piantato di fresco completamente all’ombre con una targa ricordo.
Mistero.
Seguo il sentiero fino a ricongiungermi con la strada non senza qualche difficoltà.
In breve esco dal perimetro dell’oasi e continuo la mia camminata cercando spunti per il futuro.
Man mano che avanzo l’orizzonte viene occupato dalle fabbriche. Cave, cementifici e quant’altro che dall’altra sponda, provincia di Reggio Emilia, produco una parte della nostra ricchezza al prezzo di un rumore di sottofondo insopportabile.
Difficile dire dove mi trovi. Sarò ancora in territorio comunale? Nel dubbio, trascorsa un’ora abbondante, giro i tacchi e torno verso l’auto.

E’ evidente che questo luogo non abbia moltissimo da offrire, ma a dispetto di quanto viene sponsorizzato dall’amministrazione, sarebbe per lo meno coerente fare quel minimo di manutenzione che ogni area verde richiede.
E’ piuttosto fastidio constatare come, nonostante il colore rimanga quello, in base alle anime delle amministrazioni che nel corso degli anni si succedono, cambi radicalmente l’approccio ad esempio al verde comune.
Qui non si sta parlando di un parco giochi per bambini, ma di un’area faunistica che a quanto si legge è di particolare rilevanza per la fauna che la popola. Mi chiedo quindi perché non mantenere una costanza nel tempo, aiuterebbe a mantenere frequentata la zona non solo da ciclisti di passaggio e ridurrebbe notevolmente i costi di manutenzione.
Certo l’Oasi del Colombarone non è il parco di Villa Gandini e qui, dei ginkgo biloba secolari non ce né nemmeno l’ombra. Un peccato perché per quanto il parco di Villa Gandini sia un punto nevralgico della vita del comune e un fiore all’occhiello che richiama migliaia di persone ogni anno, ha veramente poco senso puntare sempre e solo sulle stesse cose e sugli stessi luoghi.

Il parco ormai è simile ad una spiaggia di Rimini, non me ne vogliano i romagnoli, ma anche in tempi di covid i weekend vedono centinaia di persone accalcarsi per una foto alle foglie gialle dei ginkgo biloba.
Per diciamocelo, c’è anche altro. Ci deve essere altro.
Penso che un bel segnale da parte di questa amministrazione così attenta al verde, sarebbe proprio quello di valorizzare non solo a parole i tanti luoghi di questo territorio stritolato tra l’autostrada e le ceramiche.
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