Nella mia vita di lettore sono incappato diverse volte in romanzi orchestrati intorno ad una famiglia ed alla sua storia. Pelle di corteccia è anche questo, ma è soprattutto altro!
Ma di preciso che cos’è Pelle di corteccia? Vi dico che cos’è dal mio punto di vista.
Ho iniziato la lettura di questo romanzo con una vaghissima idea dell’argomento. Sapevo che era in lista per un qualche motivo particolare ma onestamente non ricordavo più quale.
Man mano che archiviavo i capitoli e mi addentravo nella storia, ha cominciato a prendere forma un’idea nella mia testa ovvero che stavo leggendo un romanzo che sì era una bellissima storia, ma che sì raccontava tra le righe ben altro.
Mi sono ritrovato quindi a realizzare una serie di pensieri che in verità erano già lì nella mia testa. Sono anni che me li ripeto e che ciclicamente emergono nei pochi attimi di tranquillità della mie mente.
Ho capito che non stavo leggendo un libro ma un’ode, una poesia. Un tributo ad una Natura che oggi non riusciamo minimamente ad immaginare e concepire per vastità, varietà, potenza, generosità.
Tra le righe appare in maniera incontrovertibile quell’atteggiamento prima di tutto arrogante di questa specie che si fa chiamare “uomo”. Ad un’incapacità quasi ingenua di capire che l’infinito non esiste, traspare poi chiaramente una volontà netta ed impetuosa di appropriarsi di quanto la Terra mette a disposizione in nome di un bene superiore.
Ieri come oggi sono cambiati i soggetti a cui “dedichiamo” le nostre attenzioni, ma i termini con cui lo facciamo sono rimasti immutati.
La luna era uno spicchio di rafano bianco, l’ombra di un’oscurità incomparabile. Le sagome degli alberi si stagliavano nitide sulla neve, di un nero così profondo che sembravano squarci aperti sull’oltretomba. Le giornate erano brevi, e il sole al tramonto restava intrappolato fra brandelli di nuvole temporalesche. La neve si arrossava, rotolando via come schizzi di sangue. L’oscuro oceano di conifere inghiottiva gli ultimi bagliori.
Scorro le pagine e le descrizioni dei paesaggi e della Natura appaiono nella mia mente sotto forma di ricordi dei viaggi in quel Canada che mi apparve subito come un qualcosa di inconcepibile.
Ricordo come se fosse ieri la mia incredulità di fronte a quegli spazi, l’impossibilità di immaginarmi così sovrastato da un ambiente che prima di tutto fa dell’immensità una delle sue forze predominanti.
Come cittadino europeo non ero preparato a tanto. Abituati come siamo a vivere in un ambiente addomesticato, catapultarsi nelle foreste canadesi è semplicemente un trauma.
Mi chiedo quindi cosa volesse dire affrontare quella Natura indomita trecento o quattrocento anni fa.
Paura? Rispetto? Angoscia? Nella retorica del periodo difficilmente riusciremo a cogliere che tipo di approccio e che tipo di sentimenti e pensieri avevano non solo quegli uomini che fisicamente varcavano l’oceano verso quelle terre incognite, ma anche chi quegli uomini li mandava.
Se pensiamo che non siamo mai stati in grado di preservare la terra nella quale nasciamo e cresciamo, pare evidente come una terra lontana abitata da popoli “pagani” ed “arretrati” venisse vista come una mera risorsa da depredare.
Oggi la domanda che ingenuamente mi faccio è:
cosa mi e ci siamo persi con questa ignoranza ed arroganza?
La risposta è piuttosto disarmante: non lo sapremo mai!
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