Mi sono chiesto come mai amo così tanto gli alberi, i boschi, le foreste.
Non è facile trovare una risposta convincente a questa domanda.
C’è stata una fase nella mia vita nella quale semplicemente “ignoravo l’esistenza degli alberi”. Ero bambino e poi ragazzo e gli alberi erano una coreografia spesso fastidiosa al panorama.
Poi però mi sono ricordato di un periodo, durante l’infanzia, nel quale soprattuto durante l’autunno, adoravo raccogliere le foglie cadute.
Collezionavo quelle più colorate forse nel vano tentativo di scaldarmi un cuore già sofferente.
Ricordo che spesso passeggiavo con mia madre nel parco del castello dove ancora abito. Era il parco più vicino a casa, giusto poche centinaia di metri.
Ricordo queste foglie enormi dei castagni, foglie umide con un arcobaleno di tonalità calde che mi emozionavano.
Le collezionavo.
Forse l’unica risposta è questa, perdersi nella foresta.
Da ragazzo ho smesso di emozionarmi per queste inezie e mi sono ritrovato adulto con in mano una macchina fotografica a fissare questi rami stagliati nel cielo. Una precisione chirurgica ai miei occhi.
Le chiome, finalmente spoglie, mostrano le loro ramificazioni. Per me sono quanto di più emozionante possa dare un albero.
Ognuno di loro, indipendentemente dalla forma, cattura il mio sguardo e smuove le mie emozioni. Ma c’è di più.
Al fascino di un albero solitario (che fa eco al mio lato autistico), negli ultimi anni mi sono dedicato con assiduità alla frequentazione di boschi e foreste.
Fissi nelle loro dimore, impongono a me di andarli a trovare. Ho cominciato quindi a camminare.
Gli alberi camminano nella misura in cui io mi reco da loro.
Senza scomodare gli Ent di Tolkien, l’immobilità apparente degli alberi è invece la benzina che muove i popoli. Siamo noi che dobbiamo recarci in visita presso di loro. Siamo noi che ci mettiamo in cammino.
Gli alberi camminano quindi al nostro fianco mentre ci affanniamo intorno al flusso del tempo che governa le nostre vite.
E’ necessario tornare ad abbracciare gli alberi per ritrovare un contatto con la realtà.
Oggi gli alberi rappresentano per me un rifugio nel quale dimenticare il resto del mondo e lasciare che i pensieri si diluiscano nella linfa che scorre nei tronchi. Sono una sorta di ricettacolo di tutte le brutture che circondano la mia vita.
Oggi ho imparato a riconoscere il potere terapeutico di un bosco.
Come uomo mi sento un intruso. Come uomo mi sento escluso. Come uomo mi sento avulso dall’ambiente del bosco. Semplicemente ho perduto gli strumenti per instaurare un dialogo con quello che mi circonda.
Oggi l’unica chances che ho è quella di starmene in silenzio ed ascoltare quello che il bosco ha da dire.
Perché il bosco fa eco ai nostri malesseri.
Da semplice curioso, oggi non perdo occasione per aggirarmi per boschi.
Amo cercare nuovi punti di vista. Uno tra tutti è rappresentato dalla verticalità.
Gettare uno sguarda verso l’alto, verso quell’intrico di chiome è sempre emozionante e riserva sempre delle sorprese. Quando il cielo è solcato da quel soffitto di rami per me è come ritrovare casa.

Grazie agli alberi ho imparato a camminare.
Grazie agli alberi ho imparato a guardare.
Grazie agli alberi ho imparato a sentire.
Non posso quindi non citare Mario Rigoni Stern, poeta della natura, che con gli alberi aveva un rapporto privilegiato:
“Quante cose ancora non sappiamo, e tante ne abbiamo perduto progredendo. Con il popolo degli alberi i nostri antenati avevano un rapporto più diretto ma anche più conoscitivo e rispettoso in forza di religione e per sensibilità. Quando gli uomini vivevano dentro la natura, gli alberi erano un tramite di comunicazione della terra con il cielo e del cielo con la terra.”
Mario Rigoni Stern, Arboreto selvatico

Sì, gli alberi camminano, eccome che camminano ed io non posso fare a meno di andare a conoscerli, uno ad uno!
Il bosco però esige rispetto. Ma dobbiamo curare il nostro atteggiamento che, sempre più spesso improntato al menefreghismo, ci porta a considerare il bosco, al pari del resto della natura, come un bene che ci appartiene di diritto e di cui possiamo disporre a prescindere e a piacimento.
L’arroganza e la cupidigia con cui guardiamo la natura è uno dei grandi malanni dell’uomo.
L’uomo è la peggiore malattia della Natura.
Vi esorto quindi a mettervi in cammino. Lasciate a casa le vostre appendici tecnologiche e visita un bosco. Lasciatevi permeare dagli odori e dagli umori del bosco. Lasciate che i vostri avi vengano a visitarvi nei ricordi.
Appoggiate una mano ad un tronco ed ascoltare la voce dell’infinito.
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