A distanza di poco più di 2 anni torno su questo tema, Abitare alberi, che mi sta particolarmente a cuore e intorno al quale sto continuando a muovermi come un satellite intorno al suo pianeta madre.
Nel mio universo l’albero rappresenta un elemento tanto fondante quanto destabilizzante.
Abitare alberi nasce come gesto di umiltà, come un gesto di riverenza, un rendere omaggio a questo essere vivente.
Ma che cos’è Abitare alberi?
Innanzitutto Abitare alberi è un moto verso, è un movimento che prende il via dal camminare. L’albero è lì, arroccato, aggrappato al suolo, è un prolungamento naturale della terra, è per certi versi in una stasi definitiva, l’unico movimento che gli è concesso oltre all’oscillare è quello di elevarsi.
Per conoscere un albero quindi devo mettermi in movimento, devo mettermi in cammino.
E’ un gesto questo dell’andare verso che per quanto mi riguarda esprime nel mio profondo un grande sentimento di umiltà, sono io infatti che vado da lui e non viceversa.
Quando alla fine degli anni ’90 ho iniziato a fotografare gli alberi, ho sentito fin da subito una risonanza forte nel documentare la loro presenza e la loro forma. Inizialmente il mio sentire veniva sollecitato dall’intrico dei rami, ragion per cui la stragrande maggioranza delle mie fotografie di alberi sono realizzate durante il periodo invernale.
Con l’evolversi della mia fotografia ho approfondito questa relazione che da visiva si è via via trasformata in immersiva.
Ho cominciato a fotografare i boschi dal basso sdraiandomi su tappeti di foglie.
E’ nato così questo concetto di Rooftop, ovvero il soffito di casa mia, come contenitore nel quale raccogliere tutte le fotografie che realizzo inquadrando gli alberi dal basso.
Sono poi passato velocemente ad abbandonare i sentieri per immergermi nel folto dei boschi. Un lasciare indietro le sicurezze e le certezze rappresentate dai segnavia a favore di un vagare sia fisico che spirituale.
Abitare alberi è diventato quindi il mio modo per celebrare questa forma di vita a cui dobbiamo essenzialmente la nostra esistenza.
A tal proposito mi fa piacere condividere questa citazione di Matteo Meschiari dal libro Geoanarchia:
Abitare lo spazio dell’albero significa mettere in discussione il mio spazio esistenziale, quasi sempre malato di qualcosa, quasi sempre abitato dal notturno, da falsi legami, immobile, sedentario. «Sono un viandante e uno che si inerpica sui monti – diceva Zarathustra al suo cuore – non amo il piano, né pare che io possa indugiare a lungo in un luogo». E ancora: «È necessario imparare a distogliere lo sguardo da sé stessi per vedere molto: anche di questa durezza hanno bisogno tutti coloro che salgono le montagne». L’albero apre uno spazio inedito. Uno spazio camminabile.
Ecco, il mio senso di umiltà passa anche da qui, dal far crescere una nuova quercia in giardino, dal non dare l’albero per scontato, dal mantenere una distanza, a volte minima a volte enorme, dal raccogliere le pigne in autunno per portarle sulla scrivania, dall’accarezzare a volte la corteccia di una betulla, dal far scorrere tra le dita i rami di larici a primavera…
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