Lo scorso 4 marzo è uscito su Doppio Zero, un bellissimo articolo di Matteo Meschiari dal titolo “Se una zolla è rapita dal mare“, al quale ho partecipato fornendo una serie di mie fotografie.
Una disanima di quel luogo indefinito che noi della pianura emiliana chiamiamo Appennino. L’Appennino è un non luogo e al tempo stesso è il luogo della memoria.
Per ovvi motivi logistici l’Appennino per me è spesso il luogo dove gettare lo sconforto settimanale e ricavare una pausa dall’enorme ingranaggio del quale faccio parte.
E’ una sospensione del tempo ma non dello spazio. Si tratta infatti di uno spazio in divenire, uno spazio che mostra chi eravamo e da dove veniamo e sopratutto mostra dove andremo.
Quando raggiungi il crinale e le condizioni meteorologiche lo permettono, puoi abbracciare le Alpi da una parte ed il mare dall’altra.
L’Appennino è un tredunion tra mondi e culture, tra spazi ed ere.
Riscoprire una dimensione local , sopratutto alla luce di questo periodo storico che stiamo vivendo, è semplicemente indispensabile per sopravvivere.
Se non riacquistiamo quella curiosità e quella immaginazione che ci contraddistingue dal resto delle specie viventi, sarà impossibile vivere una dimensione local compatibile con le esigenze “dell’altro”.
Ripenso quindi a certi scorci dell’Appennino, del mio Appennino, dell’Appennino che conservo dentro di me, e non posso non pensare ad un passaggio de “Il Signore degli anelli” che voglio riportare di seguito:
“«Mirate gli Argonath, le Colonne dei Re!», gridò Aragorn. […] Le grandi colonne parvero ergersi come torri incontro a Frodo, trascinato verso di esse dalla corrente. Egli ebbe l’impressione di vedere dei giganti, grandi, grigi e massicci, muti e minacciosi. Ma poi si accorse che le rocce erano effettivamente scolpite e modellate: l’arte e la forza antiche le avevano lavorate, ed esse conservavano ancora, attraverso le intemperie di lunghi anni obliati, le possenti sembianze che erano loro state date. Su grandi piedistalli immersi nelle acque due grandi re si ergevano: immobili, con gli occhi sgretolati e le sopracciglia piene di crepe, fissavano corrucciati il Nord. La loro mano sinistra era alzata, con il palmo rivolto verso l’esterno, in segno d’ammonimento; nella mano destra reggevano un’ascia; in testa portavano un elmo e una corona corrosi dal tempo. Erano rivestiti ancora di una grande potenza e maestà, silenziosi guardiani di un regno scomparso da epoche immemorabili.”
—Il Signore degli Anelli, libro II, cap. IX, “Il Grande Fiume”.
Non posso contare i giorni che mi separano dal rientro in Ambiente perchè non so per quanto tempo ancora dovrò vivere questa situazione di reclusione. Questo però non mi impedisce di usare i ricordi, l’immagine per creare nuovi scenari.
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