Qualche giorno fa Lavinia mi ha letto un passaggio di un libro che aveva tra le mani. Si tratta de “Il cinico non è adatto a questo mestiere” di Ryszard Kapuscinski.
Si tratta di un libro che raccoglie una serie di interventi e interviste tra il 1994 ed il 1999 che vedono come protagonista il celebre fotogiornalista polacco.
A chiusura del libro viene riportato l’incontro che ebbe luogo nel 1994 tra Kapuscinski ed il critico d’arte John Berger in occasione del convegno Vedere, capire, raccontare: letteratura e giornalismo alla fine di un secolo.
L’ultima domanda che viene posta da Maria Nadotti è la seguente:
Vorrei sapere quale uso fate del silenzio nel vostro modo di scrivere.
Una domanda bellissima a mio parere che voglio prendere spunto per una riflessione personale, ma prima è doveroso riportare le risposte rispettivamente di Berger e Kapuscinski.
JB: Naturalmente, il silenzio è assolutamente essenziale: l’arte della narrativa dipende da quello che si lascia fuori di essa. Altrimenti non ci sarebbe una storia, perché si saturerebbe semplicemente il mondo di parole. Quindi è una questione di selezione, di quello che si esclude, dello spazio a volte tra le parole, certamente tra le frasi e tra i paragrafi. Quando il lettore è creativo, quando l’attenzione è reciproca, all’inizio egli deve in qualche modo saltare per arrivare alla frase successiva, ma via via che la storia continua i salti diventano sempre più lunghi e questo è un modo per stabilire la complicità tra scrittore, lettore e racconto. Il silenzio, ciò che non viene detto è incredibilmente importante. Si potrebbe esprimere questa importanza a un livello molto più metafisico e filosofico, perché quello che non si può esprimere è moltissimo e forse è l’elemento più prezioso. Ma parlando a livello più artigianale, il silenzio rappresenta lo strumento principale per stabilire la complicità con l’ascoltatore o il lettore.
RK: Il silenzio è qualcosa che viene in parte creato dallo scrittore, ma anche in grande misura dal lettore. A volte lo vediamo negli attori, negli interpreti dei testi. Questa è la risposta: è una poesia di John. Quello che significa il silenzio nel testo è lasciato all’improvvisazione, al modo in cui lo leggiamo, a come lo interpretiamo.
Oh, my beloved, / how sweet it is to go down / and bath in the pool, / before your eyes, / letting you see / how my drenched line dress / marries the beauty of my body. / Come, / look at me.13
[La poesia viene letta senza alcuna intonazione, tutta di seguito e viene interpretata con una serie di silenzi, ndr].È tutta una questione di interpretazione del testo. Quindi il silenzio viene creato dal modo in cui interpretiamo il testo. In tutti i testi c’è il silenzio e non c’è il silenzio: dipende da quello che troviamo nel testo. Naturalmente scrivere è una selezione, una scelta, una decisione. Ma so dal mio lavoro che chiunque scriva un libro cerca di attrarre il lettore al gusto delle parole. Poi improvvisamente troviamo qualcuno che ha letto un nostro libro in un’ora. Questo significa che non lo ha letto, perché quel libro era destinato a durare per una settimana, per un mese, solo per capire qualcosa. Quindi il silenzio è un rapporto tra l’autore e il lettore.
Scrivere ovviamente è inteso in un senso più ampio del mero atto di tracciare segni nero su bianco. Scrivere è qualsiasi cosa lasci una traccia duratura di un pensiero.
Nel mio caso scrivere significa fotografare.
Ho quindi ragionato sulla domanda ed ecco la mia risposta:
Il silenzio nella fotografia di paesaggio in generale, e nella mia in particolare, è essenziale per due motivi.
- il silenzio mi permette di concentrarmi su quello che sto facendo, mi permette di eliminare tutti quei fronzoli dettati dall’abitudine a stare insieme ad altri focalizzando le mie energie su poche cose essenziali.
Il silenzio svolge quella naturale operazione di cesellatura che i più conoscono con la famosa frase Less is more dell’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe.
Tramite il silenzio si opera quindi una pulizia prima della mente e poi del braccio. - il silenzio mi permette di entrare in contatto con l’ambiente che mi circonda. Aspetto che ritengo imprescindibile per un fotografo di paesaggio. Mi permette di lasciar emergere quelle emozioni e quelle sensazioni che sono parte integrante di chi sono e di che cosa voglio dire.
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