Ve lo ricordate quando Sam parlando con Gollum dice: “[…] C’è un solo modo di mangiare una coppia di conigli.”.
Ecco lo stesso concetto vale oggi per la fotografia di paesaggio.
C’è un solo modo per fotografare quella montagna, lago, albero, paesaggio!
Io a questa banalizzazione proprio non riesco ad aderire. Me ne sbatto dei likes, dei followers e di tutte le cazzate che i “social” hanno introdotto come un trojan in un sistema.
Sì perchè il concetto di like, seguito a strettissima ruota da quello dei seguaci, altro non è che un trojan installato nella nostra vita con l’aggravante che a farlo siamo stati noi stessi volontariamente.
Nella fotografia questo trojan sta producendo mostri che non avremmo mai pensato di vedere nella nostra vita ma tantè che le cose oggi vanno così e con buona pace di Black Mirror (vedi puntata “Caduta libera“) la realtà ha abbondantemente superato la finzione.
Mi chiedo quindi dove sia finita la personalità di ognuno di noi se lo spazio di esprimersi è ormai compresso in un minuscolo pertugio attraverso il quale cerchiamo di catturare l’attenzione di milioni e milioni di occhi che quotidianamente scorrono il flusso infinito della rete?
E’ chiaro che il gioco che stiamo facendo è solo ad uso e consumo delle piattaforme social, infatti al netto dell’originalità di ognuno di noi, è evidente che per catturare l’attenzione sempre più bassa e breve di un potenziale utente oggi l’unico modo è quello di pagare.
Ci siamo prestati, gratuitamente, a questo gioco al massacro ed oggi ci ritroviamo (in)felicemente omologati in un flusso di immagini/informazioni che determina non solo il nostro modo di pensare e vivere ma anche quello di vedere ed intendere l’ambiente che ci circonda.


Nella mia piccolissima attività di documentazione del territorio, ritengo di non essermi ancora omologato al mainstream cercando sempre di anteporre i miei interessi e le mie curiosità agli scontati dogmi del social-fotografo.
Ma facciamo un ulteriore passo dentro al concetto di banalizzazione del paesaggio.
E’ di qualche settimana fa un articolo pubblicato sul blog ufficiale di IgersItalia dal titolo “Instagram: abbiamo un problema (di overexposure)“.
Vi invito caldamente a leggere il post e a trarre, se ne siete in grado, le debite conclusioni.
Ingenuamente pensavo avessi già toccato il fondo, ma evidentemente mi sbagliavo e la domanda che mi pongo è semplicemente dove finiremo?
Fino a che punto appiattiremo la nostra essenza di animali a favore di un pensiero, visione collettivo nel quale l’individualità è semplicemente vista come un errore, o peggio, una malattia?
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