E’ un po’ di tempo che seguo alcuni fotografi che mi piacciono particolarmente non solo per cosa fotografano ma anche e sopratutto per come lo fanno.
Tra questi voglio segnalare sicuramente Adams Gibbs, fotografo inglese trapiantato in Canada a 15 anni. Qui la sua storia e biografia.
Guardando uno dei suoi ultimi video dal titolo “Glorious LIGHT when you least expect it” ad un certo punto spiega, di fronte ad una determinata scena, le scelte che lo portano ad effettuare una determinata inquadratura.
Ascoltandolo ho cercato di immaginare cosa avrei fatto io in quella situazione. Subito mi sono reso conto di due cose:
- la visione dell’ambiente che avevo in quel momento era assolutamente parziale e viziata dall’inquadratura della telecamera;
- non provavo nessuna sensazione particolare, se non stupore, guardando l’incredibile contenuto che mi veniva proposto.
Ho allora iniziato a ragionare su quanto sia importante farsi “condizionare” dall’ambiente nel quale ci si muove. Io penso che maggiore è il condizionamento e maggiore sarà il nostro coinvolgimento nella fotografia che stiamo scattando. Questo perché esprimeremo, attraverso la fotografia, le sensazioni che in quel momento stiamo provando.
Per certi versi è stato come scoprire l’acqua calda, ma per altri è stato avere per l’ennesima volta la conferma che se non ci metti del tuo, e non sto parlando di tecnica perché quella la si impara, ma parlo di emozioni, parlo di coinvolgimento, parlo di immaginazione, allora la tua fotografia per quanto perfetta tecnicamente rimarrà una sterile rappresentazione del paesaggio il più delle volte scimmiottata da altri.
Citando Davide Monteleone: “ormai è stato fatto tutto e fotografato tutto, se vuoi fare qualcosa di nuovo, guardati in giro e scelto un soggetto/argomento cerco cosa è già stato fatto, sicuramente troverai qualcosa, ora prendi quel qualcosa e discostati di un millimetro, quella è la tua voce”.
Con tutte queste belle premesse, vi presento la mia storia in 5 immagini.





A mio parere uno dei tasselli fondamentali dell’autorialità è proprio quello di saper interpretare il soggetto che si sta fotografando, il paesaggio in questo caso, secondo il proprio sentire. Ahimè questo vorrà dire molto spesso andare controcorrente rispetto al mainstream ma di contro quando guarderete le vostre immagini avrete quella soddisfazione che la semplice riproduzione di un’immagine già vista non potrà mai dare.
Perché il sentire, se non siete degli automi, ogni volta sarà diverso, ed ogni volta sarà più ricco della precedente perché avrete saputo far tesoro delle esperienze maturate.
Forse è un’equazione che di questi tempi è troppo semplice da vendere e non attecchisce, ma fidati, è la strada giusta.
2 Comments
[…] dal fatto che per poter raccontare un paesaggio, qualsiasi paesaggio, è necessario conoscerlo. E’ necessario farsi condizionare da questo paesaggio, assorbire quello che il paesaggio ci sta comunicando. Serve quindi una predisposizione per poter […]
[…] non trovare questa similitudine tra cascata e tronco. Ecco come è nato il titolo di questo post. Contaminazioni è la parola d’ordine sempre […]