La rappresentazione, fotografica e non, di un paesaggio è sempre un’elaborazione frutto di una serie di paesaggi interiori, paesaggi della mente.
Roba forte questa!
Parto quindi da una famosa citazione di Ansel Adams: “Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato.“
Concetto questo che va al di là dello strumento, al di là del momento, al di là del soggetto. Perché in estrema sintesi, l’operazione che l’osservatore compie è quella di interpretare secondo il proprio io, quello che sta vedendo.

Quindi l’interpretazione del paesaggio è prima di tutto un’interpretazione di se stessi e degli innumerevoli paesaggi interiori che nel corso del tempo si sono stratificati nella nostra mente.
Da cui, per interpretare un paesaggio, è necessario dedicare tempo e risorse alla conoscenza. Conoscenza di se stessi, conoscenza dell’ambiente, conoscenza.
Ne deriva che per avere tutta questa conoscenza serve tempo.
Ecco che nuovamente ci ritroviamo schiacciati dalla clessidra di questo tempo. Tempo per leggere, tempo per ascoltare, tempo per camminare, tempo per sperimentare.
Troppo tempo. Veramente è richiesto troppo tempo, ma per fare cosa? Una fotografia?
Se non vogliamo ridurre il termine “interpretazione” ad un mero uso di un filtro o di un preset, dobbiamo per forza di cosa scegliere di usare il nostro tempo per costruire e stratificare i nostri paesaggi interiori. Senza questo passaggio non faremo altro che esercitarci nel riprodurre un mainstream che oggi vuole determinate cose e domani probabilmente l’esatto opposto.
Interpretare quindi è l’anticamera dell’unicità che, proprio perché ognuno ha i propri paesaggi interiori e difficilmente troveremo qualcuno di identico a noi, ci garantirà prima di tutto la soddisfazione di aver interpretato a nostro modo e con coscienza il paesaggio che ci si para di fronte.

Ma conoscere se stessi non basta, è solo metà del compito che siamo chiamati a svolgere.
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal territorio. Senza conoscere l’ambiente che vogliamo interpretare, avremo poche chances di liberarci dai costrutti della società per scendere al livello base che è rappresentato dall’ambiente che stiamo fruendo.
Ma come facciamo a conoscere il territorio?
Ho voluto cercare nella mia libreria un testo che sapevo di aver letto qualche anno fa. E’ un passaggio di Barry Lopez uscito per la prima volta in un saggio del 2015 su Granta.
Barry scrive: “Nell’apprendere come capire più profondamente un territorio, la prima lezione era stata quella di prestazione attenzione sempre e di reprimere lo stimolo a porsi al di fuori dell’evento, rimanendo invece al suo interno per consentire al significato di emergere in seguito; la seconda lezione fu quella di notare quante volte io chiedevo al corpo di rinviare i precetti della mia mente e quanto la straordinaria capacità del corpo di discernere schemi e profumi, quella che mi permetteva di poter distinguere tra tonalità e colori nel mondo esterno, veniva respinta dalla mente razionale. […] Più spesso che no, io stavo solo pensando al luogo nel quale mi trovavo. […] La mente non sapeva che farsene della capacità del corpo di essere in grado di distinguere i suoni. E per questo, la conoscenza di quel luogo da parte della mente restava a un livello superficiale.“
Riuscire a capire che noi stessi facciamo parte del territorio e non che siamo dei meri osservatori giunti qui da luoghi remoti non si sa bene come, essere quindi in grado di riconoscere la terra che stiamo calpestando come un prolungamento del nostro corpo, essere capaci di porgere l’orecchio ed ascoltare, appoggiare una mano e sentire.
Tutti gesti che all’uomo ultra tecnologico di oggi sembrano banalità, ma è proprio la perdita di queste banalità che ci ha portato ad isolarci rispetto all’ambiente che frequentiamo.
Tutti questi semplici gesti hanno in comune la medesima necessità: il tempo.

Ne scaturisce un’altra banalità, ovvero che velocità e apprendimento non sono compatibili. Velocità ed interpretazione non sono compatibili. Velocità e fotografia non sono compatibili.
Se non ci concediamo il tempo di conoscere un’ambiente, difficilmente saremo in grado di raccontare quell’ambiente e non riusciremo ad aggiungere alla collezione dei nostri paesaggi interiori un altro strato.
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