Dopo 8 mesi di bagni credo sia arrivato il momento di fare il punto su questa esperienza. Esperienza nata forse per caso o forse per sfida.
Gli inizi
Non amo particolarmente l’acqua, nessun tipo di acqua. Né quella salata del mare, né quella dolce dei laghi o dei fiumi.
Non amo la doccia e non amo la vasca.
Credo che quello che proprio non sopporto sia bagnare il corpo.
Di questo “non amore” non ne conosco bene le origini. Da bambino sono sempre andato al mare con l’unica speranza di poter cavalcare le onde con il materassino, quindi non posso dire di aver sempre avuto paura dell’acqua.
Credo di aver cominciato ad aver paura nel momento in cui ho fatto il mio primo corso di nuoto. Sembra assurdo, ma se rivado a quel momento, avevo mi pare 9 o 10 anni, ricordo il senso di vergogna di non riuscire a nuotare come un campione olimpico fin dalle prime bracciate (stesso discorso identico vale per lo sci). Il fatto di “non riuscire” come mi sarei aspettato, tra l’altro di fronte a persone sconosciute, ha creato fin da subito una barriera verso questo elemento che con gli anni si è poi ingigantito.
L’adolescenza
Con l’adolescenza sono poi arrivati i momenti conviviali con gli amici in piscina, per cui ricordo benissimo come non prendevo minimamente in considerazione l’idea di allontanarmi dalle sponde, men che meno dove non toccavo.
Il massimo che potevo arrivare a fare era “la bomba” dove sapevo che toccavo.
Forse questo contatto con la terra, è l’elemento chiave del problema con l’acqua. La mancanza di certezze, di forme, di sostanza.
L’età adulta
Con l’età adulta sono finalmente riuscito a controllare almeno in parte la paura e questo mi ha permesso di sperimentare per quasi due anni il nuoto la mattina. E’ stata un’esperienza fondamentale per prendere confidenza prima di tutto con la vergogna di non essere capace di nuotare e di muovermi come un ferro da stiro, ma anche di alzare la soglia della paura.
Ho cominciato a nuotare con regolarità fino quasi a farmi piacere l’idea di buttarmi in vasca alle 6,45 del mattino. In questa “intimità” mattutina ho lentamente (re)imparato a nuotare a stile e, fondamentale, a rana.
Con queste nuove prospettive nell’estate del 2007 ho fatto la mia prima nuotata in mare oltre la barriera del toccare.
Impresa decisamente ardua ma che una volta superata ricordo mi diede quel briciolo di sicurezza e gioia anche di riuscire in quello che per me era l’impossibile.
Dopo questa doverosa premessa, quello che sinteticamente posso dire è che il mio rapporto con l’acqua era essenzialmente: vergogna e paura
Ritorniamo così ai giorni nostri. Due anni fa quasi per gioco e solo durante luglio ed agosto provai la doccia con acqua fredda. Non so se riesco a spiegare il dramma che ho sempre provato di fronte, anzi, a contatto con l’acqua fredda.
Per me l’acqua fredda serve per lavarsi la faccia e le mani, punto. Per tutto il resto un bella acqua calda, non troppo, ma calda.
Non sono mai esistiti altri orizzonti.
Con questa ulteriore premessa l’idea di bagnare il mio corpo per lavarlo con acqua fredda è sempre stato irricevibile.
Sfruttando le simpatiche estati padane, mi sono lanciato in un paio di mesi di prova. Devo dire onestamente con qualche giovamento, per lo meno in termini di temperature. Quell’anno, il 2022, arrivato poi settembre con i primi freschi smisi immediatamente.
L’anno scorso (2023) ad aprile ritornai sull’argomento iniziando con continuità a fare la doccia fredda tranne che per il lavaggio dei capelli. Nel giro di poco è diventata una routine tanto che dopo qualche mese, a corpo ormai abituato, la soglia di sopportazione della temperatura ha cominciato ad invertirsi.
Arrivato l’inverno, la curiosità nata dal vedere certe pratiche del freddo mi ha stuzzicato nel tentare anche io la cosa.
Sembra quasi inutile, ma per me non lo è, quando mi arrivano queste idee sono poi costantemente strattonato da una parte dalla paura dello sconosciuto e dall’altra dalla curiosità di provare.
Anche in questo caso è stato così. Ho scambiato qualche parola con due persone che abitualmente, ma in maniera diversa, praticano la terapia del freddo nel tentativo di carpire qualche segreto o un incoraggiamento. Nulla di tutto ciò, anzi.
Ho così deciso un sabato di fare una prova con la vasca da bagno. Esperienza terribile. Un freddo intensissimo mai provato prima, nemmeno nelle notti invernali trascorse a fotografare le stelle.
Ricordo che dopo 2 minuti sono uscito dalla vasca per buttarmi sotto il piumone tremando come un pulcino. Non ricordo quanto tempo ci è voluto per riprendermi…
Due giorni dopo, sotto un bel sole e con una temperatura dell’aria di 8 gradi mi sono deciso a tentare il lago ghiacciato.
Fu ovviamente un’esperienza molto intensa che mi spalancò definitivamente le porte del freddo.
Da febbraio ho continuato a fare il bagno un po’ dove capitava tra laghi e fiumi cercando di consolidare questo feeling che però ad oggi reputo ancora molto effimero.
Questa la cronaca degli ultimi mesi.
Foto Andrea Aschedamini – Different Photography
Quello che invece si nasconde dietro questa pratica è il tentativo di affrontare questa paura inconscia dello sconosciuto che l’acqua rappresenta in maniera perfetta.
Nonostante tutti gli sforzi, le meditazioni, le ripetizioni e i fallimenti la comfort zone che mi sono ritagliato è veramente molto piccola e basta anche solo qualche dettaglio per farmi desistere dall’entrare in acqua.
Quella sensazione di ansia mista a panico è sempre appoggiata sulla mia spalla in attesa del famoso “non sei all’altezza, non ce la farai mai” che immancabilmente si palesa in queste situazioni.
Con la fine dell’estate quindi tiro un po’ le somme di questa pratica.
Nella mia lista immaginaria di cose da fare rimangono esattamente allo stesso posto le due esperienze che volevo assolutamente fare quest’anno.
E’ chiaro che la paura ha vinto. In entrambi i casi, bagno in un lago in alta quota e bagno nella cascata, so perfettamente come mi sono sentito in quei momenti e di come abbia sempre scelto di non rischiare.
Come ho ben presente la sensazione di sconfitta e rabbia che mi si è appiccicata addosso per non essere riuscito nell’intento prefissato.
Foto Andrea Aschedamini – Different Photography
Ma non tutto è negativo.
Guardando infatti alle cose positive, posso dire che un certo grado di affiatamento con l’acqua l’ho comunque consolidato. Emotivamente ho affrontato, e continuo a farlo, l’irrazionale che mi dice di stare alla larga da quella pozza nera perchè potrebbe nascondersi chissà quale mostro.
Altro aspetto per me molto importate è rappresentato dalla salute, posso infatti dire di aver rafforzato il mio sistema immunitario che è uno degli “effetti collaterali” della terapia del freddo.
Infine, un altro risvolto interessante frutto della pratica, è come la sensibilità all’acqua calda sia cambiata nel senso che oggi non riesco più a sopportare una temperatura che solo due anni fa mi sembrava il minimo sindacale per fare ad esempio la doccia.
Il corpo è cambiato.
Se mi guardo indietro e prendo in considerazione da dove sono partito, questo percorso lungo cui mi sono incamminato rappresenta per me una grande sfida che mi ha permesso di raggiungere tanti piccoli traguardi che solo un anno fa erano impensabili.
Ogni piccolo passo avanti, ogni momento di esitazione superato, è una vittoria silenziosa ma importante.
Adesso che l’estate è finita e la temperatura dell’acqua è cambiata, lo sento da mani e piedi, è il momento di continuare ad “esporsi” con costanza e disciplina per mantenere, e perchè no allargare, la mia comfort zone che è fatta in parte di aspetti prettamente fisici ed in parte dai corrispettivi psicologici ed emotivi.
E adesso? Beh, adesso andiamo a fare il bagno nel lago!
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